Evidentemente si può convenire con il Poeta che ci sono più cose in cielo e in terra di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia. Ma anche nella politica o, persino, nella fredda alchimia dei «numeretti» economici.
È perciò il momento in cui, nel governo e nella maggioranza, bisogna crederci e la correzione di rotta, anche l'indietro tutta, arriva quanto mai opportuno. «Abbassare i toni» è il mantra ripetuto in casa 5Stelle e non solo: Roberto Fico, in missione per conto del signore (già ma quale?) a Bruxelles, il vicepremier Di Maio, il ministro Tria e naturalmente l'avvocato del popolo Giuseppe Conte, il dichiarato «fusibile» di ogni tensione tra gli alleati che siede a Palazzo Chigi. Era a Firenze, ieri mattina, Conte, e ne approfittava per dire che «i toni esagitati non sono proficui per nessuno», confermando che presto andrà a spiegare la manovra in Europa. «Voi avete letto molto negativamente la lettera che Dombrovskis e Moscovici hanno anticipato - spiegava ai cronisti -. In realtà si conclude con un siamo aperti a un dialogo costruttivo ed è chiaramente una valutazione prima facie. Né poteva essere diversamente, la nostra manovra non rispecchia quelle che erano le loro aspettative. Noi siamo disponibilissimi a confrontarci in modo ragionevole». La dose di calmante non poteva sottrarsi a una lunga dissertazione giustificativa sui «toni coloriti» che «delle volte» vengono usati da Di Maio e Salvini che «reagiscono a dichiarazioni un po' intempestive... o a valutazioni che io stesso giudico inopportune e potrebbero contribuire a un allarme». Specie se vengono da «persone con alto ufficio istituzionale in Europa». Di confronto «auspicabile e cruciale» parlava pure Di Maio, che spedirà Conte a rabbonire «rappresentanti di agenzie di rating, mercati e soprattutto la Commissione europea».
Non a caso da quelle parti, da un paio di giorni, presidia il campo anche il presidente della Camera, nelle vesti del «pontiere» (o pompiere?). Ieri Fico ha visto il presidente Juncker. Incontro di cortesia che «doveva durare 30 minuti ma è andato avanti oltre un'ora - sottolineava la portavoce Schinas - a prova della quantità d'affetto e dell'attenzione che Juncker ha per l'Italia». Il vecchio volpone lussemburghese pare aver avuto facile gioco nell'interlocuzione con l'anima più vetero-M5s e ortodossa nel verbo dell'ormai (quasi) emarginato Beppe Grillo. Dire, come insisteva Juncker, che «l'Italia è e resta al cuore del progetto europeo» è bastato a fare felice Fico, che altro non desiderava pur di smarcarsi dalla deriva salviniana-lepennista: «Non siederemo mai accanto a loro, non è quella la mia strada». Viceversa, per Fico, invece «una strada si troverà» per far digerire la manovra alla Ue. «È il concetto di sfida che è sbagliato: nessuno sfida lo spread o i mercati. L'Italia vuole parlare all'Europa senza sfidare nessuno». Ottimo e abbondante persino Juncker, «persona disponibile all'ascolto e disponibile ad analizzare la manovra italiana con un dialogo serrato e vero». Scambio di cortesie buono per una photo-opportunity, magari.
Visto che dalla portavoce trapelava un volto più serrato e vero: «sta all'Italia trovare i modi per rispettare gli impegni», diceva. E se Fico era servito «per raffreddare la temperatura, io non la riscalderò di nuovo». Altri lo faranno per lei.
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