Conte garantista per i suoi tiene Ricci sulla graticola

Il leader M5S: "L'avviso non è una condanna". Ma sarà lui a emettere la sentenza sull'agibilità politica del dem

Conte garantista per i suoi tiene Ricci sulla graticola

La camera di consiglio 5stelle come in quei processi che non finiscono mai è ancora in corso e il Presidente della Cassazione, Giuseppe Conte, mantiene un riserbo sull'argomento degno dell'Alta Corte. "Non mi scucirete una parola sulle Marche", si limita a dire in pubblico con il tono di chi sa di esercitare un potere inappellabile. Ieri però in una riunione con lo stato maggiore del partito della regione, presente anche la responsabile dell'organizzazione Paola Taverna, l'ex premier ha cominciato a farsi un'idea sul possibile verdetto da cui dipende la candidatura di Matteo Ricci e in buona parte le sorti di quel voto previsto per la fine di settembre. La decisione dei grillini, come ogni tribunale che si rispetti, non arriverà prima degli interrogatori dell'indagato fissati per il 30-31 luglio. Ma sono interessanti i ragionamenti che Conte ha svolto nella riunione. "Noi ormai come movimento - ha spiegato - abbiamo maturato l'idea che un avviso di garanzia non è una condanna. Bisogna vedere le carte". Ed ancora: "Non è più accettabile da parte nostra l'atteggiamento pregiudizialmente colpevolista che tenemmo all'epoca del caso Bibbiano". Nel contempo, come qualsiasi giudice che soppesa "i pro" e "i contro", ha spiegato che "per i 5stelle è importante mantenere l'asticella alta sul piano dei valori, dell'etica, della morale che sono gli elementi costitutivi del movimento".

Insomma, i grillini sono cambiati, hanno avuto una metamorfosi, ma non dimenticano le loro radici. Così il destino di Matteo Ricci rimane appeso a un filo anche se dalla Camera di consiglio arrivano segnali di speranza. Eh sì perché il Tribunale 5stelle non decide sulla vita, ci mancherebbe altro, e tantomeno sulla libertà dell'imputato. Quelle sono prerogative dei tribunali veri. La sua sentenza, però, determina il futuro politico dell'ex sindaco di Pesaro e la sua candidatura nelle Marche.

Chi l'avrebbe mai detto, siamo arrivati al punto che Giuseppe Conte è diventato il custode e il garante della questione morale per i nipoti di Enrico Berlinguer: se le procure infatti mandano gli avvisi di garanzia, il verdetto politico - che in inchieste come quelle di Milano o di Pesaro è quello che conta - lo emette il Tribunale 5stelle nel quale Conte ha il ruolo del primo presidente di Cassazione. Parliamo di inchieste, almeno per quanto emerso finora, che secondo l'attuale ministro della Giustizia, Carlo Nordio, un uomo che nella vita ha fatto solo il Pm, contengono - l'espressione è letterale - "solo puttanate".

Ma i fatti, o presunti tali, non contano ai fini politici. Perché il meccanismo messo in piedi per tenere insieme il "campo largo" ha una logica perversa: il Pd nei sondaggi sulla carta ha il doppio dei voti dei grillini, ma Conte e i suoi si sono arrogati il compito dei probiviri, dei sacerdoti, dei garanti dell'etica dello schieramento in cantiere. Un ruolo che usano con abilità e che un Pd disorientato alla fine gli riconosce pure. Così Matteo Ricci invia a Conte le carte delle inchieste che lo riguardano e poi usa parole che andrebbero bene in un'istanza di scarcerazione: "Spero che i 5stelle capiscano le mie ragioni". Conte, che è a suo agio nella parte del magistrato politico, invece, non si sbilancia, prende tempo, ci gira intorno, lo tiene sulla graticola: "Ci riserviamo di valutare approfonditamente le contestazioni mosse a Ricci per comprendere se vi siano gli eventi di una condotta disonesta".

Insomma, l'Alta Corte 5stelle è comprensiva ma non tratta. Messa così è chiaro che quest'alleanza avrà una vita complicata perché si basa su un equilibrio in cui il Pd è soggetto alle leggi, alla cultura, ai meccanismi dei 5stelle. In questa vicenda quello che più colpisce non sono le gemme di "garantismo" che sembrano intravvedersi nel movimento grazie a Conte - anche perché bisogna vedere se sbocceranno o se verranno soffocate dal solito riflesso giustizialista - ma la soggezione del Pd.

È chiaro che una visione del genere adottata senza contrappesi dentro una coalizione si trasforma in un efficace strumento di Potere. Nei gruppi parlamentari dei 5stelle non sono pochi gli ex magistrati e, ça va sans dire, i rapporti con la magistratura più politicizzata sono stretti, quindi, il ruolo di "giudici politici" dentro l'alleanza gli mette in mano il coltello dalla parte del manico. Sono loro a emettere "il bollino" sull'onestà di un possibile indagato e a segnarne il destino politico. Un indagato che non deve sperare più di avere un giudice a Berlino ma a Volturara Appula.

Un rischio che solo i più avvertiti hanno capito. "Sarebbe bello - ha spiegato ieri Goffredo Bettini - che la politica trasversalmente decidesse di non utilizzare mai come clava contro gli avversari, congetture di reato che non sanciscono alcuna colpevolezza fino alla sentenza definitiva".

Ma il problema di fondo è essenzialmente politico: può il Pd per salvaguardare l'alleanza andare a rimorchio sempre e comunque dei 5stelle? Non solo sulla morale ma anche sulla scelta dei candidati. "Non mi pare accettabile - torna alla carica Vincenzo De Luca - la posizione di chi dice prendetevi il mio candidato a scatola chiusa".

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