
Il recente Nobel per la Pace in un tempo di "oscurità crescente", segnato da guerre, paure, nazionalismi e nuove forme di autoritarismo ci invita a tornare alle radici di un concetto che l'epoca della polarizzazione sembra aver smarrito: la pace come espressione della libertà. Non una tregua provvisoria tra potenze, né un equilibrio di interessi, ma il risultato più alto di una società libera. Le posizioni di figure come María Corina Machado, che in Venezuela difende la democrazia e la libertà politica e civile contro ogni forma di autoritarismo, ci ricordano che la pace non nasce dagli slogan, dalle marce, dallo sventolio di bandiere e neanche dal silenzio dei dissensi, ma dalla possibilità di esprimerli senza paura. La sua battaglia civile mostra come la libertà non sia un lusso dei tempi tranquilli, bensì la condizione necessaria per costruire una pace autentica. Dove la libertà viene soffocata, la pace diventa soltanto la maschera dell'oppressione. Non è un caso che, nella storia del pensiero liberale, la riflessione sulla pace occupi un posto centrale. E come editori liberali, sentiamo questo messaggio come nostro. Da anni Rubbettino testimonia, attraverso i libri, che il liberalismo non è soltanto una dottrina economica o un metodo politico, ma un modo di guardare all'uomo e alla convivenza civile. In un mondo che tende a scegliere tra opposti estremismi la tradizione del pacifismo liberale offre un terreno fertile, perché fonda la convivenza sull'autonomia, sul diritto e sul rispetto reciproco. Richard Cobden, padre del libero scambio e convinto sostenitore del disarmo, vedeva nel commercio tra i popoli un mezzo per unire le nazioni attraverso l'interesse reciproco anziché la rivalità. Norman Angell, all'inizio del Novecento, dimostrò con rigore che la guerra moderna è una follia economica, destinata a impoverire anche i vincitori. E la Scuola Austriaca, da Mises a Hayek, ha mostrato come la cooperazione volontaria resa possibile dal mercato libero e dal diritto sia la vera alternativa ai conflitti prodotti dalla pianificazione e dal potere arbitrario.
Questi autori, che abbiamo voluto riscoprire e pubblicare nel nostro catalogo, non appartengono a un passato remoto. Le loro lezioni parlano al nostro presente, in cui le tensioni internazionali e i conflitti identitari minacciano di soffocare la ragione e il dialogo. In questo senso, anche un libro come Open di Johan Norberg rappresenta un manifesto di fiducia nella libertà. Norberg mostra come l'apertura economica, culturale e morale sia la chiave del progresso umano. La chiusura e la paura dell'altro, invece, sono sempre l'anticamera del conflitto. Il liberalismo, con la sua fiducia nella persona e nelle istituzioni della libertà, rimane l'unica proposta capace di unire realismo e speranza: realismo, perché conosce i limiti umani e del potere; speranza, perché crede nella forza della cooperazione e nella dignità dell'individuo. Oggi più che mai è necessario ribadire che la pace è un valore liberale, non un'illusione buonista.
La pace non nasce dall'assenza di conflitto sociale, ma dalla promozione di istituzioni libere in grado di ascoltare le domande popolari senza cedere alle speculari retoriche stataliste, socialiste e corporative. È un ordine fondato sul diritto, sulla responsabilità, sulla tolleranza e sul riconoscimento reciproco. Dove prevale l'idea che la pace possa essere imposta, o che derivi dall'annullamento del pluralismo, essa si trasforma presto in dominio. Il Nobel di quest'anno come le parole e il coraggio di chi, anche in contesti ostili, continua a difendere la libertà ci ricorda che la cultura liberale, da sempre guardata con sospetto da tanti idealisti senza idee, non appartiene a un tempo passato, ma è la condizione di ogni futuro possibile.
La pace non è l'opposto della libertà, ma il suo frutto più maturo. E continuare a coltivarla, come editori e come cittadini, è forse la più grande forma di resistenza civile che abbiamo.Florindo Rubbettino
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