"Così ci infiltriamo per dare la caccia ai leoni da tastiera"

Il vicecapo della Polizia postale Barbara Strappato: "Gli interlocutori più ostici? Telegram..."

"Così ci infiltriamo per dare la caccia ai leoni da tastiera"
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Poi, quando li beccano, piangono. «A dire il vero la prima reazione è l'incredulità. Non si capacitano di essere stati individuati. Il passo successivo è minimizzare».

Barbara Strappato è il vicecapo della Polizia postale. Il suo mestiere è dare la caccia agli odiatori di tastiera, a chi insulta e minaccia dietro l'anonimato di un nickname, a chi propaganda pratiche orrende come l'ultimo augurio di un professore alla figlia della premier Giorgia Meloni di fare la fine della ragazzina di Afragola. Un lavoro immane che quotidianamente la porta a confrontarsi con la disarmante normalità degli haters.

Dare la caccia ai leoni da tastiera deve essere un compito immane. Non avete la sensazione di svuotare l'oceano con un cucchiaio?

«Eh sì. Le dimensioni del fenomeno sono quasi sconfinate. Così è inevitabile scegliere, circoscrivere il campo di azione».

E come scegliete?

«In base ai segnali di pericolo concreto. Quando una possibile vittima viene additata con dettagli privati, indicando come e quando può essere colpita, non sulla base di notizie di pubblico dominio, interveniamo d'urgenza anche allertando le forze dell'ordine locali. Ma anche in tutti i casi in cui la pericolosità è comunque palpabile interveniamo e iniziamo a risalire».

Vuol dire che il semplice insulto, anche brutale, resta impunito?

«Non è solo una scelta nostra. Per risalire all'identità degli autori dobbiamo chiedere ai gestori dei social. Meta, con cui abbiamo costruito da vent'anni buoni rapporti, è in America, dove la diffamazione non è reato, e quindi se il post non supera il livello dell'hate speech non collabora alle indagini».

Chi sono gli interlocutori più ostici?

«Telegram. Se ne fanno un vanto: zero collaborazione con le forze dell'ordine».

Quali sono le vittime preferite?

«Nell'ordine, stabile ormai da anni: le donne, gli ebrei, gli immigrati».

Non i politici?

«Un po' più in giù, verso il sesto posto, vicino ai giornalisti».

Sono solo i maschi a odiare le donne sul web?

«Il venti per cento dei messaggi di odio contro le donne viene da altre donne».

Quando beccate l'hater, in genere a chi vi trovate davanti?

«Mediamente, a un trenta-trentacinquenne delle estrazioni sociali più disparate e diffuso sia al nord che al sud. Quasi sempre persone che difficilmente nella vita vera sono in grado di tenere atteggiamenti aggressivi, e che dietro un nickname si sentono irraggiungibili e perdono i freni inibitori».

Non sempre odio e minacce sono iniziative di singoli, dietro alcune shitstorm ci sono chiaramente gruppi organizzati.

«Certo, e sono campagne che teniamo particolarmente d'occhio. Quando vediamo montare il numero degli attacchi contro uno stesso soggetto alziamo il livello d'allerta e cerchiamo di unificare le indagini, anche se non tutte le Procure ci seguono in questa strategia. Di fatto in Italia c'è una modalità un po' disomogenea».

Qual è il movente dell'hater medio?

«Spesso uno schematismo mentale che rende un nemico chiunque la pensi diversamente. Non può immaginare quanto odio riversino sui vegani i mangiatori di carne e viceversa».

Come li tenete d'occhio?

«In alcuni gruppi ci infiltriamo, con le

modalità consentite dalla legge. Per il resto, lo strumento base è il monitoraggio di una serie di parole chiave. Un lavoraccio, ma funziona. Nel 2024, tra autori di diffamazioni e di minacce, ne abbiamo denunciati 739».

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