La scelta è semplice tra chi si accontenta dell'Europa timida, debole, paralizzata di oggi e chi, invece, la vorrebbe capace di contare e di ritagliarsi un ruolo di primo piano nel nuovo ordine mondiale. La questione del superamento del diritto di veto può essere riassunta così perché quello strumento micidiale dà l'opportunità ad ognuno dei 27 Paesi dell'Unione, anche il più piccolo, di bloccare una scelta che va incontro all'interesse degli altri 26 introducendo un sassolino che blocca i meccanismi decisionali della Ue. Basta pensare ai veti minacciati nel consiglio europeo di ieri: quello di Viktor Orban contro l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione, oppure, quello del premier belga sull'utilizzo degli asset russi per finanziare Kiev.
Ma il discorso va oltre il quotidiano e riguarda il futuro dell'Europa: l'Unione deve entrare in una fase matura, deve compiere un salto di qualità, deve dispiegare tutte le sue potenzialità; oppure, nei fatti, corre il pericolo di regredire perché un conto era garantire il diritto di veto quando alla Ue aderivano 6, 9 o 12 Paesi, un altro con 27 Stati membri. In questa condizione l'Unione di oggi ha meccanismi decisionali addirittura più lenti e meno efficaci di quella delle origini.
Ecco perché il superamento del diritto di veto o, per chi preferisce, l'allargamento delle scelte a maggioranza che ai profani potrà apparire un argomento bizantino in realtà rappresenta un bivio cruciale. È il discrimine tra chi crede nell'europeismo e, chi, invece non pensa che l'Europa abbia un futuro. Silvio Berlusconi come pure Romano Prodi e lo stesso Mario Draghi sono sempre stati convinti dell'esigenza di questa riforma. È un obiettivo, un traguardo contenuto addirittura nel testamento politico del Cav. Sull'altro versante per i sovranisti equivale, invece, a scegliere tra un sovranismo nazionale o un sovranismo europeo, a scommettere sull'idea che su alcune priorità l'interesse europeo possa coincidere e interpretare quello nazionale. Una scelta che induce pure Giorgia Meloni ad una riflessione. Perché è inutile e, al di là delle colpe che ha, anche ingiusto prendersela con l'Europa di oggi se non la si mette nelle condizioni di decidere.
Inoltre è una questione che investe gli interessi, la sicurezza, il peso del continente in uno scenario internazionale destabilizzato da due guerre che si combattono ai confini dell'Unione. Perché al netto di ogni ipocrisia è evidente che con questi meccanismi decisionali qualunque potenza straniera può bloccare, ritardare, condizionare le scelte della Ue. Basta pensare alle politiche di Stati come l'Ungheria e la Slovacchia condizionati non fosse altro per la politica energetica da Mosca. C'è il rischio potenziale che per soddisfare i propri interessi nazionali Paesi del genere si trasformino in quinte colonne straniere e usino il diritto di veto contro l'interesse dell'Unione sabotandone le politiche. Il risultato è quello di avere un'Europa "dimezzata", cioè più o meno l'Europa di oggi. Non è possibile che l'Unione per decidere un pacchetto di sanzioni contro la Russia (quelle varate ieri) ci metta tre mesi, mentre Donald Trump, libero dai suoi dubbi e dalle sue riserve mentali, possa mettere in atto in 24 ore le sanzioni contro i giganti petroliferi di Putin.
Già, Trump. L'idea di una "Europa dimezzata" è perseguita naturalmente da avversari come Putin e dai vertici delle altre autocrazie.
Ma in fondo, inutile nasconderselo, non dispiace neppure ai nostri tradizionali alleati d'oltreoceano che preferiscono un'Europa al seguito, che non abbia l'ambizione di concorrere alle decisioni. Specie se il vecchio continente è l'ultimo lembo del globo dove si coltivano gelosamente i valori di democrazia e libertà.