Cosa resta del dalemismo?

Nel giorno in cui il lìder Maximo annuncia che potrebbe ritirarsi all'estero, vediamo quale eredità politica lascia nella sinistra italiana

Cosa resta del dalemismo?

“Sono nella felice situazione che potrei ritirarmi all'estero, tentazione che non di rado mi coglie, dato che il mio principale ufficio è a Bruxelles e lì non c'è nessuno che viene a contestare che si possa lavorare”. Sembra strano che a pronunciarle sia proprio lui, quel Massimo D’Alema che finge da tempo di fare il pensionato ma che, in realtà, lavora nell’ombra per far cadere l’arcinemico Matteo Renzi. Ora, però, sorge un dubbio: e se stavolta fosse sincero? Se davvero volesse ritirarsi a vita privata, come anni addietro aveva dato a intendere il suo rivale Walter Veltroni quando disse: “Dopo la politica, vado in Africa”, chi potrebbe cogliere l’eredità politica lasciata dal dalemismo?

Il premier-segretario pare aver fatto terra bruciata attorno a tutte le personalità che fino a non molto tempo fa si dichiaravano orgogliosamente dalemiane. Ripercorrendo “l’album di famiglia” viene subito alla mente la foto del matrimonio tra i giornalisti Simona Ercolani e Fabrizio Rondolino, a cui il lider Maxìmo fece da testimone nel 1997. All’epoca Rondolino era il responsabile della sua comunicazione, prima dentro la segreteria del Pds e poi a Palazzo Chigi, mentre oggi si può considerare un renziano della prima ora e senza dubbio uno tra i più acerrimi nemici della minoranza del Pd. Stessa sorte è capitata al suo collega Claudio Velardi, cresciuto professionalmente accanto a D’Alema che lo chiamò a Palazzo Chigiin qualità di suo consigliere politico. Un altro esponente di spicco del dalemismo, convertito al renzismo, è Nicola Latorre, attuale presidente della Commissione Difesa del Senato. Tra le donne del dalemismo rampante targato anni ’90 restano nella memoria soprattutto Livia Turco e Anna Finocchiaro. La prima è una dalemiana mai pentita ma ormai fuori dalla politica attiva, mentre la seconda attualmente è presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato che molto ha collaborato con il governo e con il ministro Boschi per l’approvazione delle riforme. La Finocchiaro, intervistata proprio sulla riforma del Senato, nel corso dell’ultima puntata del programma di Flor ‘Di Martedì’ ha dichiarato: “Il mio rapporto con Renzi era cominciato malissimo però devo dire che mi ha impressionato il fatto che niente sembra più impossibile. Niente di tutto quello che è rimasto fermo per decenni, che non si riusciva a cambiare, niente di tutto questo è impossibile”. Se non è una conversione poco ci manca, ma indubbiamente non c’è più avversione tra la ormai ex dalemiana Finocchiaro e il premier Renzi.

Anche gli uomini che, in teoria, ancora dovrebbero esser fedeli a D’Alema, non fosse altro per l’opposizione al renzismo, sono Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo e i parlamentari dem che fanno riferimento alle loro correnti. Questo in linea teorica perché, poi, in pratica è stato Bersani, da candidato premier, nel 2013 a sbarrare la strada a una sua ricandidatura, anche per frenare l’avanzata di Renzi. Impresa riuscita solo per un breve lasso di tempo tanto è vero che, a distanza di due anni dalle Politiche, Bersani si trova a dover fare il capo della minoranza del suo partito. Cuperlo, stretto collaboratore di D’Alema ai tempi della Bicamerale, lo scorso marzo, rivangando il passato, gli ha tirato le orecchie:“Se tu o altri nella sinistra europea aveste fatto il vostro dovere forse oggi la montagna da scalare sarebbe stata meno alta”. Di sicuro non ha ancora digerito la sconfitta alle primarie o forse ha capito di non avere la freschezza e il carisma necessario per prendere in mano l’eredità della sinistra dalemiana. Eredità a cui aspirano due ‘giovani’ nati politicamente dentro la fondazione Italianieuropei, Stefano Fassina e Matteo Orfini, i cui destini sembrano essersi separati per sempre. Fassina ora guarda alla ‘cosa rossa’ con Pippo Civati, Sel e transfughi dei Cinquestelle, mentre Orfini è presidente del Pd, commissario del partito romano e fedelissimo di Renzi. Almeno finora.

Il ‘caso Marino’, però, ha ammaccato non poco la figura di Orfini che ha difesa fino all’ultimo l’ex sindaco di Roma, nato politicamente (guarda caso) pure lui dentro la Fondazione Italianieuropei. Un elenco di personalità che si conclude con un 'de profundis' per il dalemismo.

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