Cronache

La crisi divora i ristoranti dei centri storici. "Chiusi per disperazione, non per ferie"

Pagano lo scotto più duro i locali delle metropoli, piegati dall'assenza dei turisti e dallo stop dei pranzi di lavoro. "Lo Stato ci lascia senza certezze"

La crisi divora i ristoranti dei centri storici. "Chiusi per disperazione, non per ferie"

Ora che dalle località turistiche di tutta Italia arrivano cartoline con assembramento; ora che l'estate post-Covid, anzi forse pre-Covid sembra una grande fiesta mobile e senza mascherine, in una furia orgiastica da day after sembra quasi trascurabile che ci siano ristoranti ancora vuoti, o chiusi. E proprietari depressi, chef con le pentole vuote, dipendenti in cassa integrazione, famiglie angosciate. Eppure ci sono e sono la gran parte.

I ristoranti che più stanno pagando lo scotto alla crisi da pandemia sono quelli dei centri storici delle grandi città. Quelli che vivono di un turismo straniero che non c'è più, e magari ci sono anche più italiani, ma spesso per gite di un giorno e comunque russi e americani spendono più e più volentieri. E quelli che vivono di pranzi di lavoro, un lavoro che - se non è evaporato in qualche ammortizzatore sociale - si svolge ora molto più da casa. Lo chiamano smart working, e per molti è il futuro. Ma per chi campa di pause pranzo, di ticket restaurant, di light lunch con riunione annessa, è semplicemente la fine. E quando si annusa la fine si può fare anche la scelta di Luca Vanni, trovato lunedì dai suoi dipendenti morto nel ristorante di Santa Croce, in centro a Firenze. Luca era pieno di sogni e di mutui. I primi si sono infranti, i secondi hanno continuato a correre, diventando un muro impossibile da scalare con incassi sempre più esangui.

Ma come vivono la situazione i colleghi di Luca, chi cioè continua ad alzare ogni giorno la serranda di un ristorante ben salendo che resterà mezzo vuoto?

Di «sconfitta un po' per tutti» parla Giuseppe Di Iorio, chef stellato di Aroma, ristorante con vista sul Colosseo, che si dice impietrito dalla vicenda dello chef fiorentino suicida. Di Iorio si immedesima molto nel caso di Luca. «Noi eravamo lanciati, tutto il mondo parlava di noi, quest'anno avremmo anche festeggiato i dieci anni con due giorni di festa. E invece ora apriamo solo la sera mentre prima lavoravamo anche a pranzo, e abbiamo dimezzato il personale». Di Iorio si dice fiducioso ma più perché non si può fare altrimenti, «Lavoriamo a giorni alterni, non abbiamo alternative, speriamo che giorno dopo giorno la situazione possa migliorare. La crisi è grande, soprattutto nelle grandi città d'arte come Firenze e Roma. Ci manca soprattutto l'americano, che si fa il menu degustazione e si prende anche la grande bottiglia di vino, per noi è il migliore cliente al mondo». Paura è la parola chiave. «Non abbiamo più certezze, leggiamo sui giornali di questa possibile ondata d'autunno e perdiamo ogni certezza, anche un lockdown parziale sarebbe un disastro. E anche gli investitori si sono fermati, a Roma molti locali del nostro livello non hanno riaperto, perché in molti casi ammortizzi i costi più a restare chiuso che a restare aperto«.

Naturalmente trovo estremo il gesto di questo collega - ci dice Antonello Colonna, chef e imprenditore con locali in zone centrali di Roma e Milano (e presto anche a Como) - e probabilmente ci saranno state altre cose più profonde che noi non sappiamo. Però è vero che i centri storici soffrono. Io sono ripartito alla grande, a Milano in Cordusio non abbiamo avuto problemi e anche a Roma Termini ho sempre i miei 50-70 coperti. Ma la categoria soffre, è preoccupata, non sappiamo se ci saranno nuovi lockdown e siamo tutti consapevoli che sarebbe un grave danno. È vero che noi siamo imprenditori e dobbiamo essere pronti a ogni evenienza, se non è la pandemia è la crisi economica o i provvedimenti restrittivi del traffico. Però lo stato non ci dà certezze e quindi le certezze dobbiamo farcele in casa, e andare avanti senza disperarci».

Non è facile farlo a Venezia, splendida e semivuota in questa estate terribile. Qualche giorno fa giravamo per le calli e trovando tanti ristoranti chiusi per ferie ci siamo sorpresi e abbiamo chiesto informazioni a uno dei pochi ristoratori con la cucina aperta. «Scrivono che sono chiusi per ferie ma sono chiusi per disperazione ma non possono scriverlo».

Il conto, per favore.

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