Politica

Quell'escalation dei toni che avvelena il Paese

Il Pd condanna minacce e attacchi personali, ma rivendica il diritto di critica. Se, però, non si abbassano i toni, si rischia un'escalation senza fine che non porta nulla di buono

Quell'escalation dei toni che avvelena il Paese

Lo ha ricordato anche la senatrice a vita Liliana Segre nel suo discorso da presidente provvisorio del Senato: "Un terreno sul quale è auspicabile un superamento degli steccati e l’assunzione di una comune responsabilità è quello della lotta contro la diffusione del linguaggio dell’odio, contro l’imbarbarimento del dibattito pubblico, contro la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni". Eppure dopo una campagna elettorale contrassegnata da toni a dir poco infuocati, l’inizio della legislatura non è stato da meno.

Nelle settimane che hanno preceduto il voto la "demonizzazione" di Giorgia Meloni e della coalizione di centrodestra non è stata priva di effetti collaterali. Dagli assalti a colpi di calci e bastonate ai gazebo degli attivisti, come è successo ai militanti di Fratelli d’Italia a Milano e a quelli leghisti a Marina di Carrara, alle minacce della colonna trentina "Mara Cagol" delle nuove Brigate Rosse alla Meloni ("Siamo pronti a intervenire e silenziare i nuovi fascisti"), sono stati diversi gli episodi violenti.

Il 25 settembre scorso gli italiani hanno indicato vincitori e vinti. Eppure il livello dello scontro non è calato. Le reazioni dopo l’elezione dei presidenti di Camera e Senato lo dimostrano. Il meloniano La Russa è stato accusato di essere un nostalgico del duce, il leghista Fontana (con tanto di striscioni esposti a Montecitorio) di "omofobia", "estremismo", "sessismo", "putinismo", e chi più ne ha più ne metta. Tanto che in questo esordio di legislatura la situazione è subito sfuggita di mano.

Una giornalista del Fatto Quotidiano, Elisabetta Ambrosi, se l'è addirittura presa con la moglie del neo-presidente della Camera, pubblicando sui social una foto in cui si vede anche la figlia piccola della coppia: "Come Fontana, disprezzo anche la moglie. Chi si accoppia a tali personaggi come minimo è connivente. Poi forse, magari, è povera, non può separarsi bla bla. Resta la disistima". Il post (poi cancellato) è diventato subito un caso. E non un caso isolato. Perché a far discutere è stata anche una vignetta di Vauro in cui il volto di Fontana, la terza carica dello Stato espressa dalla maggioranza in Parlamento, è stato disegnato in cima ad un escremento circondato da mosche.

Al presidente del Senato, se possibile, è andata anche peggio. Alla Garbatella la sede di Fratelli d’Italia è stata imbrattata con la stella rossa. Al Colosseo invece è stato esposto uno striscione di "benvenuto" con il nome di La Russa scritto a testa in giù. Dulcis in fundo, l'augurio degli anarchici: uno "speriamo tu muoia", impresso con la bomboletta spray in zona Tor Pignattara.

In casa Pd, uno dei partiti che si è espresso più duramente sull’elezione dei presidenti di Camera e Senato, tutti condannano l’accaduto senza se e senza ma, ma rivendicano il diritto di critica. "La mia più piena solidarietà va a La Russa e Fontana, insieme alla più ferma condanna per ogni insulto e minaccia. Resta per me una valutazione molto negativa dei profili delle due personalità dei presidenti eletti a guidare Senato e Camera e l'opinione che si sia trattato di scelte che non aiutano a promuovere l'unità delle forze politiche e la solidità della tenuta istituzionale e non vedo perché questa valutazione non la si debba esplicitare, nell'ambito di un libero confronto democratico e nel massimo rispetto dei ruoli istituzionali", spiega al Giornale.it il deputato Dem, Andrea De Maria.

"All’interno del partito abbiamo preso posizioni di forte condanna rispetto alle minacce indirizzate al presidente La Russa, la violenza e gli insulti sono inaccettabili", ricorda il collega Enrico Borghi. "Gli attacchi personali non fanno parte della mia concezione della politica, quando si scende sul piano personale – va avanti - significa che non ci sono idee pensieri e contenuti, a maggior ragione quando si attaccano familiari e congiunti". "Io e La Russa siamo molto distanti in termini politici, io sono antifascista e lui tiene il busto del duce in casa, ma non è giusto fare processi alle intenzioni", sottolinea al telefono. "Nel suo discorso di insediamento ha detto delle cose importanti, si è impegnato ad essere imparziale, ha fatto un chiaro ed esplicito riferimento al rispetto delle date fondamentali della nostra identità repubblicana, il 25 aprile e il 2 giugno, quindi lo valuteremo su quello". Conclude con un esempio efficace: "Quando è stato eletto non l’ho applaudito perché non l’ho votato, ma quando è entrato in aula da presidente del Senato mi sono alzato in piedi ed ho battuto le mani davanti alla seconda carica dello Stato".

Il concetto viene ribadito da Valeria Valente, senatrice Dem tra i papabili per il ruolo di capogruppo a Palazzo Madama. "La violenza va condannata senza se e senza ma, certi attacchi non si possono condividere. Totale solidarietà al presidente, ci mancherebbe, ma spero – aggiunge - che non riveli il vero volto della destra, che secondo me è radicale e pericolosa". Un pensiero, questo, già espresso sui social. "Si potevano scegliere profili meno di parte di Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana. E invece no. La prima mossa di questa nuova maggioranza non lascia presagire nulla di buono. Abbiamo di fronte una destra reazionaria, illiberale, oscurantista e per questo pericolosa", aveva scritto la parlamentare del Pd in un post di solidarietà.

"Una cosa sono le critiche politiche, come nel caso di Fontana, per le posizioni assunte su politica estera e diritti. Posizioni che continueremo a contrastare con nettezza. È la dialettica della democrazia. Altra questione sono minacce e insulti che vanno sempre condannati con altrettanta nettezza", rimarca anche la senatrice Anna Rossomando. Insomma, condanna netta della violenza, ma con un chiaro distinguo: non c'è alcun collegamento tra le critiche politiche, anche aspre, e le minacce e gli insulti di questi giorni.

Il rischio, però, se non si ferma l'escalation dei toni, è che l’appello della Segre finisca per cadere nel vuoto.

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