Crolla la miniera di giada usata dai generali birmani per pagare la repressione

La giunta usa il lavoro nero e vende sui circuiti illegali. E arma l'esercito contro i ribelli interni

Crolla la miniera di giada usata dai generali birmani per pagare la repressione

Almeno 100 persone risultano disperse a causa di uno smottamento avvenuto ieri intorno alle 4 del mattino nei pressi di una miniera di giada nel distretto di Hpakant, nel Nord-Est del Myanmar. Le squadre di soccorso stanno continuando le ricerche per localizzare i sopravvissuti dell'ennesima tragedia. Questa, infatti, è solo l'ultima di una serie di gravi incidenti avvenuti negli ultimi anni, soprattutto durante la stagione dei monsoni.

Nel fine settimana scorso almeno 10 uomini sono morti nello stesso distretto. Nel luglio 2020, 170 lavoratori sono stati sepolti vivi dopo che un'ondata di fango ha travolto una miniera. Nel 2019 altre 54 persone sono scomparse in un incidente simile. Le vittime di questi anni sono per lo più giovani provenienti dai diversi stati etnici, che arrivano in queste zone alla ricerca di fortuna, soprattutto dopo la crisi economica dovuta alla pandemia.

Il Myanmar produce il 90 per cento della giada mondiale. La maggior parte arriva proprio da Hpakant, considerata l'industria segreta (e insanguinata) di questa preziosa gemma. Secondo un rapporto del 2015 realizzato dall'organizzazione non governativa Global Witness, il valore proveniente dal mercato della giada, solo nel 2014, sarebbe stato pari a 31 miliardi di dollari, vale a dire circa il 50 per cento del Pil. E di quasi 123 miliardi nel decennio 2004/2014. Ad arricchirsi maggiormente, si legge nel documento, sarebbero i generali che ancora oggi, dopo decenni, comandano il Paese. Questo avviene grazie ai due principali conglomerati che controllano l'estrazione e che sono gestiti dal Tatmadaw (l'esercito birmano): il Myanma Economic Holdings Limited e il Myanmar Economic Corporation. La situazione non sembra essere cambiata. I giacimenti di giada, infatti, sono tuttora sotto la guida di compagnie private, alcune delle quali gestite anche dai militari, in joint venture con la Myanmar Gems Enterprise, società pubblica che amministra le licenze di sfruttamento.

Sempre Global Witness ha appena pubblicato un nuovo rapporto, dove viene dettagliatamente spiegato che anche il mercato dei rubini è sotto lo stretto controllo della giunta al potere. Nel documento, che si basa su ricerche effettuate dal 2017 al 2021, viene stimato che l'industria di questo prezioso minerale nel Paese ha un valore che si aggira tra i 346 e i 415 milioni di dollari l'anno e viene sottolineato che c'è stato un incremento dell'estrazione clandestina proprio dopo il golpe. «Le entrate di questo lucroso commercio hanno permesso all'esercito del Myanmar di consolidare il potere e finanziare le atrocità in atto, incluso il colpo di Stato del febbraio 2021. Il regime usa i fondi per comprare nuove armi per sopprimere violentemente la popolazione», ha affermato Clare Hammond, ricercatrice dell'organizzazione.

Dopo la presa al potere dei militari, centinaia di migliaia di persone sono scese per le strade della ex Birmania per manifestare contro la giunta e per chiedere democrazia. Le proteste sono state subito represse nel sangue e fino ad oggi, secondo quanto riporta l'Assistance Association for Political Prisoners, sono state uccise più di 1.300 persone e oltre 10mila sono state arrestate. Ma c'è di più. Un'inchiesta della Bbc uscita pochi giorni fa, ha rivelato che almeno 40 civili avrebbero subito atroci torture e i loro corpi esanimi sarebbero poi stati gettati in fosse comuni.

Questa mattanza sarebbe avvenuta a Kani, nella regione di Sagaing, una delle roccaforti dell'opposizione al governo militare.

Le uccisioni sarebbero state punizioni collettive per controllare le ribellioni in atto ormai in tutto il Paese, che vedono i principali gruppi armati etnici (Karen, Karenni e Kachin in particolare) e organizzazioni di autodifesa popolare sostenute dal governo ombra, attaccare quotidianamente gli avamposti militari. Azioni di guerriglia che stanno mettendo in seria difficoltà il Tatmadaw.

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