Ci sono due frutti del made de in Italy natalizio di cui si è occupato quest'anno il New York Times. Uno per spernacchiarci: l'albero Spelacchio con il suo disadorno declino che è una metafora di quello della capitale. L'altro per celebrarci: il panettone che - dopo aver conquistato negli anni passati francesi e britannici - sembra aver definitivamente fatto presa anche sugli americani, che non solo fanno carte false per acquistare quei pochi che arrivano dall'Italia (da Eataly a New York quest'anno ne hanno ordinati e venduti in men che non si dica quasi 40mila) ma cercano anche di produrlo in proprio accettando la sfida proposta da questo lievitato difficilissimo: «È un magico folle trabocchetto - ha detto Rick Easton, fornaio di Pittsburgh, al quotidiano newyorkese - una cosa incredibilmente ricca, piacevolissima al gusto e allo stesso tempo leggera».
Ma come scegliere un panettone buono, ma buono davvero? Intanto non sperate di acquistarlo al supermercato per 5,99 euro. Un panettone deve costare almeno 15 euro al chilo, di solito i migliori si vendono tra i 25 e i 35. Troppo? No: gli ingredienti pregiati, la preparazione del lievito madre, la lunga lavorazione (due impasti, due lievitazioni, una «pirlatura», il pigro riposo capovolto) sono elementi che rendono impossibile una produzione low cost. Se il panettone costa poco probabilmente è stata usata qualche scorciatoia, malgrado dal 2006 sia in vigore un disciplinare che regola sia le tecniche di produzione sia la qualità e la percentuale degli ingredienti: elementi fatidici una lievitazione naturale da pasta acida, un 16 per cento minimo di burro, uova di gallina fresche categoria A.
Per riconoscere un buon panettone bisogna badare alla crosta - aderente alla pasta, dal colore non troppo scuro -, alla mollica - morbida, compatta, quasi umida, dal colore non troppo scarico (poche uova) né troppo carico (potrebbero esserci pigmenti sintetici) - ai canditi e all'uva sultanina abbondanti e ben distribuiti, agli alveoli irregolari ma omogenei. E poi un buon panettone non si sbriciola ma fa «il filo» quasi come la mozzarella.
D'accordo, direte. Ma molte di queste caratteristiche possono essere verificate solo una volta acquistato. E prima, come si sceglie? La cosa migliore è affidarsi ai produttori migliori. Il nostro top da qualche anno è Vincenzo Tiri ad Acerenza, in Basilicata: prodotto con farine macinate a pietra, uva passa australiana, frutta locale candita in proprio, burro francese e belga, uova di galline allevate allo stato brado, miele di acacia e vaniglia Bourbon. Poi una lavorazione lunga 72 ore. Un capolavoro di sensualità e leggerezza per conquistare il quale non c'è da sorprendersi che la gente faccia la fila fuori dalla sperduta bottega lucana.
Tiri guida la carica dei meridionali: Pietro Macellaro da Piaggine (Salerno), Pepe di Sant'Egidio del Monte Albino (Salerno), Pasticceria Gabbiano di Pompei, il Caffè Vignola di Solofra (Avellino), Pasquale Marigliano a San Gennariello di Ottavano (Napoli) evidenziano la Campania come la regione leader. E Milano? Risponde con le interpretazioni tradizionali ma magnifiche della Pasticceria Martesana, di Pavè, di Rampinelli. Sempre magnifico quello glassato prodotto dal grande Iginio Massari alla pasticceria Veneto di Brescia. La scuola veneta è sempre in fermento: Olivieri 1882 ad Arzignano (Vicenza), Biasetto a Padova, la novità di Infermentum a Stellavena (Verona), il panettone prodotto dalla pasticceria Giotto che ha sede dentro il carcere padovano Due Palazzi.
A Bologna fa sempre meraviglie Gino Fabbri. Non è tecicamente un panettone, a causa della minore presenza di grassi che «viola» il disciplinare ma è sempre magnifica la Focaccia prodotta dalla Pasticceria Tabiano in provincia di Parma.Buon panettone a tutti.
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