Dalle Torri a "Charlie". Moriremo di distinguo

C'è chi pensa di poter gestire l'odio giustificando i nostri nemici. Ebrei, soldati, americani, vignettisti: alla fine le vittime se la sono cercata

Dalle Torri a "Charlie". Moriremo di distinguo

All'obitorio di Parigi, sul cartellino appeso agli alluci di quei 129 disgraziati, ci scriveranno: «Causa del decesso: distinguo». Perché questa ecatombe è figlia del Califfo, ma anche figliastra della cultura giustificazionista che mezzo Occidente ha forgiato per disertare prima ancora che la guerra scoppiasse, perché l'idea che qualcuno si fosse messo in mente di diventare il nostro peggior nemico era insopportabile.L'hanno fatto quasi senza accorgersene, in pensieri e parole prima che in opere e omissioni, provando ogni volta a voltarsi dall'altra parte. Hanno scusato le stragi, compreso le ragioni dei jihadisti, cercato le nostre colpe vere o presunte e gentilmente omesso di definire «islamici» i terroristi. Come se chiudendo gli occhi poi tutto si potesse rivelare solo un brutto sogno. Ecco, buon risveglio a tutti.Ancora oggi l'11 settembre è messo in conto alla spregevole coscienza imperialista di George W. Bush e alla sua ossessione western per le armi. Voleva dominare il mondo e gli hanno demolito le Torri, azione e reazione, limpido. Come una querela dopo un'offesa, ognuno reagisce alla sua maniera, ci mancherebbe.Poi gli attentati nella metro di Londra e alla stazione di Atocha di Madrid, l'Europa che sente in bocca per la prima volta il gusto guasto del sangue: sono Blair e Aznar che pagano per le sue bugie sulle armi di distruzione di massa con cui ha avallato l'invasione dell'Irak. Sì, ma la metro che c'entra? Niente, ma c'entravano forse qualcosa le vittime collaterali a Baghdad? Erano innocenti, non come Lee Rigby. Lui era un soldato, quindi decapitarlo per strada nel 2013 ha fatto parte dell'ordine naturale delle cose.

Cambiati i governi, scemata l'onda lunga della lotta contro «l'asse del male», il giustificazionismo ci rimane incrostato addosso. Così, quando Mohammed Merah nel 2012 fa una strage nella scuola ebraica di Tolosa, sono in tanti ad alzare un sopracciglio. Gli stessi che oggi hanno ottenuto le etichette sui prodotti delle colonie per boicottare Israele, sono convinti che chi semini vento in Palestina, poi debba raccogliere tempesta ovunque. In una scuola ebraica, in un supermercato kosher per mano dei fratelli Kouachi, davanti a un ristorante di Milano.L'idea che chi diventa bersaglio in fondo se la sia cercata ha attecchito ovunque. Non siamo stati tutti Charlie Hebdo, se pochi mesi dopo un comitato di scrittori ha protestato formalmente contro il premio alla libertà di stampa e se i media si sono guardati bene dal pubblicare anche una sola vignetta. Non siamo stati Charlie perché finché le pallottole piovevano su chi offendeva Maometto potevamo pensare che toccava a loro perché qualcosa si meritavano. Ebrei, soldati, americani, disegnatori sacrileghi, registi scomodi: la guerra è contro di loro, che sono altro. Noi, brava gente perbene, non definiamo i tagliagole in base alla loro fede e non facciamo di tutta l'erba un fascio. E pensiamo così di poter gestire l'odio instaurando l'era del distinguo.Ecco, provate a distinguere anche ora. Chi andava allo stadio se lo meritava perché apprezza uno sport violento, corrotto e razzista. Chi è stato giustiziato ad un concerto non si può lamentare, perché sul palco cantavano gli «Eagles of the Death Metal» e in nomen omen.

Ma dove la trovate l'orrenda colpa in chi sorbiva zuppa al ristorante «Petit Cambodge»? A parte i campioni di ottusità che ancora oggi blaterano di inevitabile punizione per aver votato il governo guerrafondaio di Hollande, davvero non abbiamo capito che quei clienti sono morti solo perché qualcuno ha pensato che ammazzarli mentre mangiavano riso allo zenzero potesse far piacere a Maometto?Perché possiamo mettere tutti i puntini sulle «i» che vogliamo, ma una vittima è una vittima, un kalashnikov è un kalashnikov e «Allah akhbar» significa «Allah è grande». E a forza di distinguere, ora l'unica cosa che si può distinguere sono i morti: è facile, sono quelli sdraiati e immobili, mentre quelli in piedi si affannano a cercare nuovi alibi assurdi.

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