Politica

Dalle urne una spinta alla politica

Ci sono due buone ragioni per andare a votare i referendum sulla Giustizia, e ce n'è una ottima

Dalle urne una spinta alla politica

Ci sono due buone ragioni per andare a votare i referendum sulla Giustizia, e ce n'è una ottima. La prima è di interesse generale: avere un sistema giudiziario efficiente ed uno costituzionale equilibrato. Non è il caso italiano. Confrontiamoci con la Francia. In proporzione al numero di abitanti, lo Stato italiano spende per amministrare la giustizia il 25% in più, i magistrati italiani guadagnano oltre il doppio e sono anche più numerosi (11,5 ogni 100mila abitanti, contro 10,9). Dovremmo, perciò, esibire risultati di assai migliori. Invece accade il contrario.

Un processo civile da noi dura mediamente più di 7 anni, in Francia meno di 2; un processo penale da noi dura più di 3 anni, in Francia meno di 1; per ogni 100mila abitanti noi abbiamo 3.789 processi civili pendenti, loro uno. Il costo economico equivale a due punti di Pil l'anno. Una manovra finanziaria. In compenso, come ha ben descritto Sabino Cassese, da Mani Pulite in poi l'«ordine giudiziario si è fatto potere». Un potere autocratico e sostanzialmente arbitrario esercitato a scapito dei poteri (democratici) esecutivo e legislativo, oltre che in evidente spregio di principi ed equilibri costituzionali. La seconda ragione è di interesse personale: ciascuno di noi, anche il più ligio e onesto, può finire stritolato in un ingranaggio giudiziario. La vicenda Tortora non ha insegnato nulla. Ogni anno tre quarti degli inquisiti risultano innocenti e mille innocenti risultano incarcerati. «Tutto dipende - diceva Francesco Cossiga - dal piede con cui si alza la mattina un pm». Lo diceva, Cossiga, soprattutto a proposito dei politici. I quali terrorizzati dai magistrati non perché più colpevoli di altri, ma perché categoria in sé più ghiotta di altre.

E veniamo così alla terza ragione, quella ottima. Condivido le ragioni particolari del Sì, ma credo che la forza di questi referendum sia di carattere generale. Duole ammetterlo, ma nessun leader con funzioni di governo si intesterà mai una riforma radicale, dunque costituzionale: troppa paura! Paura di rappresaglie. Ma semmai il quorum dovesse essere raggiunto la forza di un'opinione pubblica inaspettatamente schierata darebbe al ceto politico il coraggio che gli manca per metter mano in profondità al sistema partendo dalla lodevole ma superficiale riforma Cartabia.

In caso contrario, sarà motivo d'orgoglio personale poter dire un giorno «il 12 giugno io c'ero».

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