Delmastro accusa i pm. La sinistra insorge: "Questo è olio di ricino"

Scontro sull'antimafia

Delmastro accusa i pm. La sinistra insorge: "Questo è olio di ricino"
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Politica e magistratura si spaccano sui «giudici mafiosi», parole che il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro (nella foto) si fa fuggir di senno l'altro giorno a Torino durante un innocente convegno Fdi a Torino. Nel mirino c'era il giudice di Magistratura democratica Marco Patarnello, che sulla mailing list della corrente più «rossa» delle toghe aveva attaccato la «pericolosa» Giorgia Meloni e la sua riforma della giustizia con la separazione delle carriere. «Avrà un effetto devastante sulle toghe rosse - dice il sottosegretario - per questo Md la considera pericolosa, perché non ha inchieste. Ma questo lo dicono i mafiosi, non i magistrati».

Il soccorso rosso della sinistra scatta ovunque, dal Parlamento al Csm. «Parole indegne, gravissime, scomposte, incompatibili con il governo, sanno di olio di ricino, la Meloni lo cacci» la sequela di repliche dei dem Deborah Serracchiani, Anna Rossomando, Walter Verini ed Ernesto Carbone, consigliere al Csm in quota Matteo Renzi. C'è chi tira in ballo la condanna di Delmastro per le rivelazioni sulla delegazione Pd in visita dall'anarchico Alfredo Cospito a parlare di abolizione del 41bis (su cui invece l'esecutivo non arretra), il responsabile organizzativo Fdi Giovanni Donzelli rincara: «Il Pd spieghi perché acconsentì alla richiesta di Cospito di parlare e omaggiare i mafiosi».

Ma a nessuno sfugge il vero significato di «giudici mafiosi». Da Caivano l'altro giorno il presidente della commissione Antimafia ha annunciato dossier incandescenti sulle stragi del '92-93 contro i giudici di Palermo dove lavorava il senatore M5s Roberto Scarpinato, feroci col centrodestra e con il Ros e oggi accusati di complicità coi boss. Né il fascicolo sul presunto dossieraggio contro ministri e politici di governo dell'ufficiale Gdf Pasquale Striano, forse eterodiretto dall'altro grillino Federico Cafiero de Raho, ex capo della Dna. A nessuno sfugge che il «mascariamento» del numero due Antimafia Michele Prestipino per «rivelazione di segreto d'ufficio» sulle potenziali inchieste in corso sul Ponte sullo Stretto abbia compromesso l'immagine e la reputazione di tutta la Procura nazionale. Anche per questo il Quirinale proprio sul Ponte ha ribadito la fiducia nella magistratura e nel potente dispositivo di norme, dal quale non si deve derogare. «Delle infiltrazioni del Ponte ci occuperemo noi», dice ieri la Dia, con il comandante Michele Carbone che snocciola i suoi blitz: a rischio un cantiere su quattro di Pnrr e grandi opere.

Che il clima sia esplosivo lo si capisce dall'insolita irritazione con cui numero uno della Dna Giovanni Melillo bacchetta il Parlamento e il ddl sulla sequestrabilità del

cellulare, che a suo avviso avrebbe «effetti devastanti» sulle indagini contro i boss. «Critiche infondate e pretestuose, refrattarie ai principi garantisti ribaditi dalla Consulta», controreplica l'azzurro Pierantonio Zanettin.

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