Detenuti e disarmo: Hamas alza il tiro. Scontro tra i leader e rischio caos a Gaza

Via alle scarcerazioni: "Israele cambia 100 nomi, ci dia Barghouti. Noi nella polizia della Striscia. Assurdo espellerci, fase 2 difficile". Rivolte e clan, richiamati 7mila combattenti

Detenuti e disarmo: Hamas alza il tiro. Scontro tra i leader e rischio caos a Gaza
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Ha resistito a due anni di assedio israeliano, ma rischia di non sopravvivere alle divisioni interne e agli scontri con i clan rivali della Striscia. A lanciare l'allarme sulle proprie capacità di sopravvivenza è la stessa Hamas. Ieri l'organizzazione ha diffuso un ordine di mobilitazione generale chiedendo a 7mila militanti in congedo di vestire la divisa blu della polizia, riprendere i kalashnikov e schierarsi tra le rovine di Gaza. "È stata dichiarata - sancisce l'ordine diffuso attraverso i telefonini - una mobilitazione generale per rispondere ai doveri nazionali e religiosi e ripulire Gaza da fuorilegge e collaboratori di Israele". Finita la guerra con Tsahal (l'esercito israeliano) incomincia insomma quella con gli "umala" (agenti del nemico) e i "khawanah" (traditori).

Una guerra non meno pericolosa della precedente visto il crollo di consensi provocato da stragi, carestia e distruzioni, le tre piaghe di Gaza che molti palestinesi non stentano ad attribuire al fanatismo del gruppo jihadista. La rivolta in effetti cova da tempo. Le cosiddette Forze Popolari guidate dal beduino Yasser Abu Shabab e armate da Israele operano da oltre sei mesi nel sud e nel nord della Striscia. E almeno altri sei o sette clan ne stanno seguendo l'esempio. A inizio mese Hamas ha perso una dozzina di militanti durante una giornata di violentissimi scontri armati con gli al-Mujaida, una delle più potenti famiglie del sud della Striscia. Ma deve vedersela anche con il clan Abu Tir a Khan Younis e con gli Al Kashl nelle zone centrali. Vari gruppi salafiti combattono invece a fianco della tribù Abu Risha, mentre i militanti di Fatah, legati al clan di Baraka, operano intorno a Gaza City. La decisione israeliana di non ritirarsi dalle zone in cui operano gli insorti palestinesi armati dallo Shin Bet minaccia di sottrarre al controllo di Hamas anche le zone adiacenti alla fascia in cui è ancora presente l'esercito. "Non possiamo lasciare Gaza alla mercé di sciacalli e milizia appoggiate da Israele", ha dichiarato alla Bbc un dirigente all'estero di Hamas ammettendo implicitamente la pericolosità della situazione.

Anche per questo le fazioni di Hamas più vicine all'ala militare e ad Ez al-Dine al-Haddad, attuale leader dell'organizzazione nella Striscia, rifiutano di disarmare e chiedono alla dirigenza all'estero di negoziare un disarmo limitato alle armi pesanti. "Le armi saranno consegnate allo Stato Palestinese, nessuno ha il diritto di negarci il diritto di resistere all'occupazione degli eserciti", ha dichiarato ieri l'ex ministro della Sanità di Gaza Basem Naim. In base a questa formula negoziale Hamas chiede di poter mantenere una forza di polizia per garantire l'ordine interno. Una formula vista come fumo negli occhi da Israele che ben ricorda l'inizio della seconda intifada quando dovette vedersela con i poliziotti armati dell'Autorità Palestinese. Inoltre, Hossam Badran, membro dell'ufficio politico di Hamas, alza il tiro: "Parlare di espellere i palestinesi, che siano membri di Hamas o meno, dalla loro terra è assurdo e senza senso", aggiungendo che "la seconda fase del piano Trump, come è chiaro dai punti stessi, contiene molte complessità e difficoltà".

A incrinare le intese sottoscritte a Sharm El Sheik s'aggiunge lo scontro sempre più acceso sul nome di Marwan Barghouti e degli altri ergastolani palestinesi che Israele si rifiuta di liberare. Hamas fa sapere di non voler rinunciare a nessun costo alla scarcerazione di Barghouti, Hassan Salama, Ibrahim Hamed e Abbas al-Sayyed e accusa il governo Netanyahu di aver "cambiato quasi 100 nomi di prigionieri da rilasciare modificando l'intera lista in modo astuto e sofisticato".

Rifiuti e mosse quasi obbligate per Israele che liberando Marwan Barghouti regalerebbe al governo dell'Anp il suo prossimo leader. Ed anche, visto il diffuso consenso goduto da Barghouti, una scontata quanto immediata rigenerazione politica.

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