"La difesa è un diritto. Ma nessuno di noi è nato per uccidere"

"Lo rifarei". Giuseppe Maiocchi il 24 maggio 2006 fu condannato a un mese di reclusione per lesioni personali colpose, mentre il figlio Rocco a un anno e sei mesi per omicidio colposo

"La difesa è un diritto. Ma nessuno di noi è nato per uccidere"

«Lo rifarei». Giuseppe Maiocchi il 24 maggio 2006 fu condannato a un mese di reclusione per lesioni personali colpose, mentre il figlio Rocco a un anno e sei mesi per omicidio colposo. I due un paio di anni prima, il 13 aprile 2004, avevano ucciso un rapinatore macedone che aveva assaltato la loro gioielleria di via Ripamonti, a Milano. Tutti e due avevano sparato ma il colpo ferale uscì dalla pistola di Rocco. Qualcuno allora parlò di sentenza troppo lieve, ma Giuseppe tuttora pensa che quel mese sia stato anche troppo.

Perché, Maiocchi?

«Perché chi fa un lavoro come il mio, che viene considerato il bancomat della criminalità, deve avere il diritto di difendersi».

Esistono altri modi per difendersi, però...

«Sì, ma tutti i sistemi, le porte blindate, gli antifurti, le telecamere, non portano alla sicurezza assoluta».

Quante volte è stato rapinato?

«In 47 anni ho perso il conto. Almeno quindici volte hanno fatto la classica spaccata, mentre un paio di volte ho visto i rapinatori nella bussola, ho mostrato loro l'arma e loro sono scappati».

Quel giorno del 2004 però non andò così.

«Il giudice per fortuna vide i filmati delle telecamere e capì che i miei racconti erano corretti. Io vedevo il rapinatore trafficare nell'automobile e non potevo sapere se avrebbe tirato fuori un'arma per spararmi».

Il pm insisteva per condanne più severe.

«Non capisco perché il pm indagò tanto per incastrarci, senza nemmeno vedere i filmati».

Lei e Rocco foste comunque condannati.

«Sì, perché il giudice disse che se fossimo stati operatori della sicurezza addestrati avremmo aspettato un secondo in più per sparare».

E lei oggi aspetterebbe quel secondo in più?

«No, anche perché l'interpretazione della minaccia è soggettiva. E in quei casi tutto si gioca sul filo degli attimi».

Lei ora ha il porto d'armi?

«No, mi fu tolto all'epoca. Ora sono stato riabilitato e potrei chiederlo di nuovo ma vorrei smettere con questo lavoro».

Quattordici anni dopo è ancora segnato da quella vicenda?

«Certo, se ammazzi qualcuno te lo ricordi per tutta la vita. Nessuno di noi nasce per uccidere».

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