È il linguaggio del non detto. Messaggi non verbali lanciati dal corpo. In termini scientifici si chiama «cinesica» (dal greco kinesis, movimento). Gesti (involontari), che «parlano» di più, e meglio, delle parole stesse. Ma se in un discorso radiofonico o in un testo scritto si può bluffare giocando col punto segreto dell'ipocrisia, in un proclama televisivo la fisicità fuori controllo dell'oratore può smascherare le sue vere intenzioni. Un processo di disvelamento temutissimo dai dittatori, soprattutto quando si trovano in situazioni particolarmente drammatiche per il proprio Paese. E cosa c'è di più tragico della decisione di scendere in guerra? Che poi la guerra venga edulcorata lessicalmente con la formula di «operazione speciale», è solo un artificio retorico a misura di propaganda. Ieri Putin, dopo lo storico annuncio del 24 febbraio, quando ha spiegato in tv la scelta di «denazificare» l'Ucraina a colpi di bombe, è tornato davanti alle telecamere mettendo nel mirino i «traditori» e «l'Occidente che vuole distruggerci». In mezzo ai due video, quasi tre settimane di morte e distruzione; ma una cosa è rimasta uguale: la postura e le «smorfie» (evidenti, nonostante gli sforzi di «Zar Vladimir» per tenerli a freno) che urlano al mondo il retropensiero putiniano.
Molto si è detto in questi giorni su una, presunta, malattia da parte del presidente russo: voci rilanciate da quelle ormai celebri immagini in cui Putin appare ad una esagerata distanza di sicurezza dai suoi interlocutori politici posti all'altro capo di un tavolo bianco lungo quanto un'autostrada. E anche qui ci sarebbe da tirare in ballo un termine difficile: «prossemica», ossia la scienza che studia lo spazio o le distanze come fatto comunicativo e psicologico che l'uomo interpone tra sé e gli altri.
«Osservando i video in cui Putin, dall'inizio della guerra in Ucraina, si rivolge ai russi - spiega sul suo sito Francesco Di Fant, esperto di comunicazione e linguaggio del corpo - si nota come rimanga con le mani quasi sempre poggiate sulla scrivania, questo gesto, che potrebbe essere definito di ancoraggio per tenersi saldi in una situazione di disagio. L'unico gesto che gli sfugge è l'indice puntato mentre avverte minacciosamente gli avversari. Puntare l'indice è un gesto aggressivo che mima il gesto di minaccia con un oggetto in mano, come un bastone». Una caratteristica - questa del dito puntato - che accomuna trasversalmente nella storia quasi tutti i despoti alla vigilia o nel pieno di un conflitto bellico: da Bin Laden ad Assad, da Stalin a Tito, da Ceausescu a Mussolini, ma l'elenco potrebbe essere lunghissimo.
L'attualità ci riporta a Putin. «A livello del viso - aggiunge Di Fant - è possibile vedere l'emozione del disgusto (bocca con labbra che spingono verso l'alto e naso arricciato) e della rabbia (sopracciglia abbassate, palpebre semichiuse con occhi a fessura, sguardo fisso dal basso verso l'alto)». Poi c'è quel pollice destro che tamburella spasmodicamente sul bordo del tavolo e quello spingersi col bacino fino al bordo estremo della poltrona, come se si trovasse sull'immaginaria linea di confine di un precipizio.
E nulla lascia sperare che non venga compiuto anche l'ultimo passo per il volo nella definitiva distruzione. Come dimostra la frase terribile pronunciata ieri dal portavoce di Putin, Dmitry Peskov: «Purificheremo la società russa».
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