La Meloni si smarca da Orbán: "Non condividiamo molte cose"

La leader di FdI nel salotto di Bruno Vespa ha sottolineato le divergenze tra Fratelli d'Italia e Fidesz: dalla guerra in Ucraina, ai rapporti con la Cina agli equilibri con i polacchi di PiS

La Meloni si smarca da Orbán: "Non condividiamo molte cose"

Per respingere il riduzionismo di chi vorrebbe sovrapporre a tutti i costi due leader con storie, percorsi e provenienze molto diverse come Giorgia Meloni e Viktor Orbán, la leader di FdI nello speciale elettorale di Porta a Porta ha dovuto ribadire l'ovvio: "Non sono d’accordo con Orbán su molte cose che sta dicendo, soprattutto in politica estera".

Come fosse una dichiarazione sconvolgente, quando invece in qualsiasi altro contesto diverso da quello del ragionamento a compartimenti stagni della sinistra una frase del genere sarebbe persino ovvia. I partiti possono interloquire, condividere alcune visioni e dissentire su altre. Possono, addirittura, convergere su taluni argomenti e piazzarsi su posizione antitetiche su altri. È la naturale dialettica politica. Ma nel gioco della contrapposizione strillata si procede, specie in campagna elettorale, a fare equazioni banalizzanti: Meloni come Orbán, Meloni come Duda, Meloni come Putin, Meloni come Le Pen.

Da Bruno Vespa, allora, la Meloni si è riappropriata dei suoi spazi, specificando che Orbán, come tutti gli altri leader dei Paesi Ue, specie quelli di centrodestra, è un interlocutore col quale si può essere d'accordo su alcune cose e meno su altre. Citando, in particolare, gli esteri. Il riferimento è ovviamente alla guerra in Ucraina, con l'Ungheria di Orbán che si è collocata in posizione "critica", eufemismo, nei confronti dell'Unione europea e delle sanzioni varate contro la Russia. Ma anche dal punto di vista militare, pur essendo un alleato Nato, Orbán ha scelto non solo di non inviare armi all'esercito ucraino ma pure di impedire che i rifornimenti occidentali possano raggiungere Kiev attraversando il proprio confine di stato.

Fratelli d'Italia, al contrario, ha sostenuto tutti i pacchetti di sanzioni antirusse e l'aiuto militare, e si è in generale posizionata su una linea che lo vede al centro del processo atlantista e "filo europeo" piuttosto che europeista, visto che la critica alle istituzioni europee rimane. La divergenza in politica estera tra Fratelli d'Italia e Fidesz, tra l'altro, non è solo storia di questi giorni. Giorgia Meloni, che guida il partito dei Conservatori e Riformisti europei (Ecr), ha cercato di attrarre tra le sue fila anche Fidesz quando il movimento di Orbán, cacciato dal Ppe, cercava casa. Dopo corteggiamenti vari, lo scorso anno il matrimonio non s'è consumato e pian piano i progetti hanno iniziato a prendere direzioni differenti.

Come termostato dei rapporti tra FdI e Fidesz, inoltre, c'è il fattore PiS, il partito conservatore polacco al governo a Varsavia. Il PiS vanta la più numerosa delegazione di europarlamentari all'interno dell'Ecr, e i suoi rapporti con Fratelli d'Italia sono idilliaci. Esattamente come per FdI, soprattutto il PiS sta attraversando una fase turbolenta nelle relazioni con Fidesz e con Orbán. La Polonia è quasi totalmente coinvolta nel conflitto in Ucraina, è la più esposta al flusso di rifugiati, la più legata alle vicende storiche che caratterizzano i contenziosi tra Mosca e Kiev, la più impaurita dalle iniziative russe.

Tutto il contrario rispetto all'Ungheria di Orbán, che con il governo ucraino negli ultimi anni non è andata molto d'accordo e con cui ha tuttora aperta la questione della "contesa" Transcarpazia. Questo, sommato alle strettissime relazioni di interdipendenza energetica con Mosca, ha spinto Orbán a prendere decisioni, peraltro benedette dal popolo ungherese che l'ha rivotato ad aprile con una certa convinzione, tali da minare persino un rapporto che sembrava granitico come quello tra i Paesi del blocco di Visegrad.

Ma non c'è solo la questione russa. Budapest è da anni un partner commerciale importante anche della Cina, di cui in un certo senso rappresenta un hub all'interno dell'Ue. Fratelli d'Italia, invece, oltre a tenere posizioni filoamericane, da sempre denuncia le ingiustizie del modello comunista cinese e la pericolosità dell'espansionismo economico di Pechino in Europa. Nell'eclettismo politico di Orbán, comunque, c'è un po' di tutto: oltre ai rapporti con gli Usa, ci sono anche quelli con Pechino, con Mosca, con altri attori come Turchia e Serbia.

Una impostazione un ben più maculata rispetto a quella di Fratelli d'Italia. Le diversità tra i due partiti e tra i due leader ci sono e sono diverse. La convergenza più evidente, semmai, è quella di principio, legata cioè al modo in cui l'Europa e soprattutto i grandi Paesi a trazione socialdemocratica dovrebbero considerare l'Ungheria: "Non credo nell’idea di Europa che sta raccontando la sinistra - ha detto la Meloni -, per cui c’è un’Europa di serie A e una di serie B. L’Europa non è il club degli amici del golf, non è un club elitario nel quale si decide chi è più e chi è meno importante, perché i trattati non dicono questo".

In questo modo intende spiegare anche il voto di Fratelli d'Italia contro la relazione del Parlamento Ue che una settimana fa ha definito l’Ungheria un "regime ibrido di autocrazia elettorale" e ha denunciato gli "sforzi deliberati e sistematici del governo ungherese" contro i valori dell’Unione, in riferimento alla

protezione di stato di diritto e bilancio comune europeo. Da Vespa, la Meloni più che l'alleata di Orbán ha voluto fare la "sorella maggiore": "Non dobbiamo spingere i Paesi dell'Est tra le braccia della Russia". E della Cina.

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