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Dj Fabo, i pm: "Morire può essere un diritto"

La Procura alla suprema corte: la norma che punisce chi assiste i suicidi è incostituzionale

Dj Fabo, i pm: "Morire può essere un diritto"

«Esiste un diritto all'autodeterminazione e alla dignità, da cui deriva un vero e proprio diritto costituzionalmente garantito in capo al malato irreversibile o terminale, le cui condizioni possano essere considerate lesive della dignità umana, a chiedere ed ottenere aiuto per porre fine alla propria esistenza». Sono queste le motivazioni con cui la Procura della Repubblica di Milano punta a fare del caso di Dj Fabo, e del radicale Marco Cappato che lo aiutò a morire, un punto di non ritorno per le norme italiane sul «fine vita». Di fronte alla incapacità del Parlamento di trovare una intesa su una nuova legge, la Procura chiede che sia la Corte Costituzionale a farsi carico di una norma che non è più al passo con i tempi.

Il 27 febbraio scorso, quando schiacciò con i denti - ultima parte ancora mobile del suo corpo - il pulsante dell'iniezione letale, Fabiano Antonioli (questo il vero nome del disc jockey) voleva solo porre fine a un calvario di cecità, immobilità e sofferenze. Ma Cappato, che aveva organizzato e gestito il suo ultimo viaggio, nella clinica «Dignitas» a Pfaffikon, nel Cantone di Zurigo, ha voluto fare del dramma di Antonioli un caso-simbolo. E in questo ha trovato sponda nei pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini. Dopo la autodenuncia di Cappato, i pm chiesero il suo proscioglimento, ritenendo ormai inapplicabile l'articolo 580 del codice penale, che punisce indistintamente chi «agevola in qualsiasi modo l'esecuzione di un suicidio». Com'era inevitabile, il giudice preliminare Luigi Gargiulo respinse la richiesta di archiviazione: la legge è chiara, e fin quando è in vigore va applicata.

Così, ecco la nuova mossa della Procura, ufficializzata giovedì scorso: richiesta di incostituzionalità dell'articolo 580. Le motivazioni, pubblicate sul sito giurisprudenzapenale.com, si muovono su un terreno delicato e complesso. Ma la conclusione è netta: nel suo testo attuale, quell'articolo è in contrasto con ben cinque articoli della Costituzione, nonché con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Le due pm ricordano che la Costituzione stabilisce che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario». Grazie a questa norma, molti pazienti terminali hanno ottenuto in questi anni che venissero sospese le cure che li tenevano in vita. Ma per Dj Fabo e per quelli nelle sue condizioni, «cui non è concesso il privilegio di una morte rapida senza l'aiuto di una sostanza letale», serve qualcuno che li aiuti a morire: ma questo è proibito dalla legge, creando una inammissibile disparità di trattamento. La conseguenza è che attualmente «l'individuo affetto da una malattia degenerativa e incurabile può essere portato ad anticipare il proprio sucidio a un momento in cui è ancora in grado di compierlo in autonomia».

Il diritto a una vita dignitosa, insomma, non può tradursi in «un obbligo di vivere» in condizioni intollerabili. Le due pm ammettono che allargare la norma, legalizzando il suicidio assistito, metterebbe in pericolo i «soggetti deboli», i malati che «rischierebbero di trovarsi esposti a forme di omicidio-suicidio» da parte di parenti e personale sanitario. Questo rischio va fronteggiato stabilendo procedure e controlli: ma non potrà essere certo la Corte Costituzionale a stabilirli.

Il giudice Luigi Gargiulo renderà nota la sua decisione giovedì.

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