Cronaca giudiziaria

"Una doccia alla settimana": l'avarizia è maltrattamento

La Cassazione condanna un uomo che imponeva alla moglie la sua parsimonia. "È violenza"

"Una doccia alla settimana": l'avarizia è maltrattamento

Dalla mano morta al braccino corto la differenza è poca, pochissima, quasi impercettibile. E non solo per ragioni ortopediche, si badi. Sempre di maltrattamento, infatti, si tratta.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna nei confronti di un uomo di Bologna che aveva trasformato la sua ossessione per l'economia domestica in uno strumento di vessazione della moglie. I giudici della suprema corte hanno così tracciato il nuovo confine delle violenze domestiche, riscrivendo forse per sempre il lessico famigliare italiano.

Che poi, alla fine, a uscirne peggio in questa vicenda è soprattutto l'igiene, e non parliamo di quella mentale. L'uomo infatti ostacolava moltissimo ogni legittimo sforzo della moglie di tenere pulita la casa e sé stessa. Prendete l'umile soldatessa del nostro decoro minimo: la carta igienica. Il tirchissimo emiliano, ossessionato dal fatto che i dieci piani di morbidezza diventassero il più tardi possibile nove, imponeva alla malcapitata consorte un uso parsimoniosissimo del rotolo: non più di due strappi a seduta. E come poi egli controllasse l'effettiva obbedienza alla regola non possiamo (né dopotutto vogliamo) sapere.

La fissazione per il consumo limitatissimo di ogni prodotto si estendeva anche ad altri campi dell'igiene domestica. Il tapino pretendeva che l'acqua per le abluzioni venisse recuperata e che un tovagliolo di carta usa-e-getta venisse scomposta in altri pezzi («almeno dieci», racconta un testimone della sfuriata) per future cautissime mansioni domestiche. Usa-e-non-getta. E le docce? Non più di una a settimana e chissà che ecosistema al giorno sei tra quelle mura. Infine il pasto, che andava consumato usando un solo piatto e una sola posata.

Naturalmente l'arpagone bolognese non aveva limiti nella sua Operazione Risparmio Assoluto: stabiliva con rigore in quali supermercati fare i limitatissimi acquisti domestici, individuando regolarmente i discount, e non voleva che nella dispensa di casa comparissero prodotti di marca. Ora, sarebbe in fondo nobile ipotizzare che l'uomo sia un seguace della filosofia No Logo sviluppata agli albori del millennio dall'attivista Naomi Klein come critica alla civiltà dei consumi. Sarebbe nobile ma sbagliato. Allo spilorcione il futuro del pianeta importa assai meno del presente del suo conto corrente.

La taccagneria è un vizio capitale assai prima della comparsa di Lidl. Anche Dante Alighieri si occupò di questo odioso peccato, dedicando a chi vi indulge il settimo canto della sua Commedia Divina. Ma il pitocco bolognese non si limitava a coltivare personalmente il suo hobby per la parsimonia. Ne aveva fatto un manifesto di vita familiare, accusando continuamente la consorte di essere «una sprecona» e instaurando un clima di terrore che, garantiscono amici e familiari, avevano trasformato la vittima «da donna solare, in salute e aperta al futuro» in una «persona isolata» che aveva «perso le autonomie personali riducendosi progressivamente a persona affetta da disturbo post traumatico da stress». Il proprio stile di vita, dicono i giudici del Palazzaccio, non può infatti essere inflitto ai familiari, «men che meno in quelle che sono le minimali e quotidiane esigenze di vita in casa e accudimento personale».

In questo passaggio dalla voglia di tenerezza alla voglia di Tenderly speriamo solo non ci tocchi un #metoo del rotolone regina.

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