Politica

Draghi, l'uomo forte in panchina

È il più popolare di tutti ma la politica per adesso lo congela

Draghi, l'uomo forte in panchina

Roma. Non parla, non scrive, non commenta. Non scatta selfie, non usa Twitter né Facebook, non concede interviste. Non legge i libri che gli stanno dedicando, tantomeno i retroscena giornalistici sul suo futuro: impossibile vederlo in giro, figuriamoci se accetta inviti in tv. Ha passato la pandemia nella sua casa di campagna, in Umbria, poi è stato fotografato la settimana scorsa, silente e mascherato, in prima fila a Palazzo Koch per le considerazioni finali di Ignazio Visco, e ora si è ritagliato un weekend al mare, vicino Roma. Non c'è, eppure piace, e tanto. Supermario, l'uomo invisibile, è infatti il più amato di tutti: un sondaggio Youtrend- Sky Tg24, rivela che il 59,3 per cento dei cittadini ha fiducia in lui. È in testa alla classifica, secondo Conte, staccati gli altri. Un governissimo guidato da Mario Draghi sembrava alle porte, adesso la prospettiva si è allontanata, se ne riparlerà a settembre. Pazienza. Sei italiani su dieci vorrebbero comunque che scendesse in campo per salvare il Belpaese.

L'assenza di comunicazione è dunque la migliore forma di comunicazione, del resto gli basta poco per smuovere le cose. A marzo, con un editoriale sul Financial Times, ha invitato a fronteggiare la crisi facendo più debito, dando la così la linea a tutte le istituzioni europee. Sergio Mattarella lo consulta spesso e lo ritiene l'asso nascosto nel mazzo. Angela Merkel mantiene un contatto periodico. E Christine Lagarde, che ha lo ha sostituito alla Bce, lo chiama per avere consigli, soprattutto dopo la disastrosa conferenza stampa di esordio, quando con una gaffe terremotò gli spread.

E in Italia gran parte del dibattito degli ultimi mesi ruota sul fattore D: che farà Supermario? Guiderà un governo di salvezza nazionale? Verrà eletto al Quirinale dopo Mattarella? Evocato, sperato, chiamato, infilato in tutti gli scenari per il dopo. Temuto. Giuseppe Conte ne ha una paura quasi fisica. Lui invece non si pronuncia, probabilmente non ha alcuna intenzione di gettarsi nella mischia con una classe politica di questo livello. Se dovesse accettare, chiederebbe delle garanzie di agibilità difficili da realizzare. Però in qualche modo è proprio l'enigma, il suo ruolo da Cincinnato, ad alimentare allarmi e speranze.

Il premier, ovviamente, lo tiene a distanza, ma vuole invitarlo agli Stati Generali. Con i 5S non esiste un linguaggio comune e il Pd è sempre stato freddo. Adesso però anche i primi sponsor dell'ex presidente della Bce si stanno ritirando, chissà, forse perché stava prendendo forma. La Lega ad esempio. Giancarlo Giorgetti indicava un esecutivo Draghi di solidarietà nazionale come l'unica possibilità per uscire dai guai, ora Matteo Salvini parlando a Napoli ha chiuso la porta: «Dopo Conte ci sono soltanto le elezioni, no ai giochini di palazzo». Anche Silvio Berlusconi sembra aver cambiato rotta. A fine marzo diceva che «la competenza e l'autorevolezza di Draghi sarebbero utili per far ripartire l'Italia». Nel frattempo, siccome con Zingaretti e Conte si è aperto un canale, il Cav dice alla Stampa che «lascerei i profeti nella Bibbia. Se matureranno le condizioni, si vedrà, ma un governo non tutto dentro non credo sia possibile ne auspicabile».

Appunto, si vedrà.

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