Draghi resta alla finestra ma prende di mira governi e Germania

La Bce tiene invariati tassi e acquisto bond «Riforme lente. E Berlino non sia egoista»

Mario il Temporeggiatore piace meno di Mario il Decisionista. Ma tant'è: anche il capo della Bce ha i suoi bioritmi, che non sempre coincidono con quelli ipercinetici dei mercati. E così, ieri, Draghi si è preso una bella pausa lasciando tutto com'era: tassi invariati, nessuna rettifica al piano di acquisto titoli, nè qualche effetto speciale prodotto dalle alchimie della politica monetaria non convenzionale. Il motivo? Non ci sono «al momento» motivazioni «sostanziali» nelle stime macroeconomiche per consigliare un cambio di rotta. Men che meno per prendere in considerazione l'helicopter money, cioè la pioggia di denaro riversata direttamente sugli europei, o l'acquisto di azioni, due ipotesi di «cui non abbiamo discusso».

Un wait and see che serve a tenere di riserva le cartucce, per poterle sparare eventualmente nella prossima finestra utile, quella di dicembre, quando l'Eurotower avrà un quadro reso ancora più chiaro dalle mosse della Federal Reserve e dall'esito del referendum costituzionale in Italia. Nel frattempo, la Bce non resterà con le mani in mano: il direttivo ha infatti «incaricato un comitato di studiare eventuali strade per estendere, se necessario, gli stimoli monetari». Il programma di acquisto di asset per 80 miliardi al mese «proseguirà fino a marzo 2017 e oltre se necessario», ha ribadito l'ex governatore di Bankitalia.

Certo lo scenario attuale presenta qualche criticità, con «i rischi che continuano a essere orientati al ribasso» malgrado l'economia abbia mostrato «resistenza alla persistente incertezza economica e politica». L'istituto di Francoforte ha rimesso mano alle previsioni di giugno tagliando le stime di crescita 2017 e 2018 (vedi numeri a piè di pagina) e quella relativa all'inflazione del prossimo anno. Cifre che confermano un passo di sviluppo comunque ancora insufficiente che Draghi ha messo in relazione con il rallentamento della domanda estera, con le incertezze legate alla Brexit, ma anche a causa dell'inazione dei governi sulle riforme strutturali «necessarie in tutti i Paesi dell'area euro per aumentare la produttività, ridurre la disoccupazione strutturale e aumentare la crescita potenziale». Insomma: bisogna fare di più, incidendo con maggiore decisione sulla ripresa attraverso la politica economica, senza però sgarrare «dalle regole di bilancio dell'Unione europea». Un refrain più volte sentito che, a quanto pare, non è arrivato abbastanza forte e chiaro alle orecchie di chi sta nei Palazzi. Draghi non lo ha detto, ma è facile intuire come spesso si senta lasciato da solo nel mezzo della battaglia, tra le critiche velenose alla sua conduzione della politica monetaria. Gestione che, ancora una volta, ha difeso a spada tratta: «La trasmissione delle decisioni di politica monetaria non ha mai funzionato meglio», ha spiegato il numero uno dell'Eurotower. Convinto che «l'avversione al rischio non è più un fattore nella concessione di credito, anzi, c'è competizione tra le banche per prestare»; e che le misure predisposte abbiano preservato Eurolandia da choc monetari, da contraccolpi esterni, come per esempio la vittoria dei Leave in Inghilterra, e garantito un apporto dello 0,6% al Pil dell'area e dello 0,4% all'inflazione.

Tutte bene? Quasi. Perché Draghi continua a essere nel mirino degli istituti tedeschi, che lo accusano di distruggerne i margini di guadagno con la tagliola dei tassi negativi. «Finora - la replica del leader della Bce - non si sono registrati effetti negativi sui bilanci delle banche». Quindi, la frecciata: i tassi «non possono diventare una giustificazione per qualsiasi cosa non vada nel mondo bancario».

L'ultima stoccata è per la Germania gonfia di surplus: «I Paesi che hanno uno spazio di bilancio devono poter utilizzarli. Berlino è in questa situazione». Un chiaro invito al rispetto di quelle regole che Berlino pretende sempre dagli altri.

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