Politica

Droga al neonato «rognoso» Infermiera finisce in cella

Aveva somministrato morfina al bebè, venuto alla luce prematuro. Salvo per miracolo il piccino in overdose

Andrea Acquarone

Droga al posto di una poppata. E lui, da pochi giorni venuto al mondo, ha rischiato di lasciarlo prima ancora di poter aprire gli occhi. Di poter scorgere questa pazza valle, nella quale, troppo spesso, spuntano mostri.

È una storia che ha del disumano, quella venuta a galla ieri, dopo che la polizia ha arrestato un'infermiera dell'ospedale civile Borgo Roma di Verona. Anche lei madre, 43 anni, sposata, un curriculum immacolato e la stima di colleghi adesso increduli. Eppure una donna in camice bianco capace di somministrare a quel «bebè rognoso» - parole sue - una dose di morfina. Così, giusto perché non la disturbasse più. Non le scuotesse nervi evidentemente già logorati.

Era la notte tra il 19 e 20 marzo, quando nel reparto di terapia intensiva neonatale, dove era ricoverato il piccino (nato prematuro), scattò l'allarme. Avrebbe dovuto essere dimesso l'indomani ma all'improvviso, inspiegabilmente, le sue condizioni si erano aggravate. L'équipe medica intervenuta, e considerata di «altissimo livello professionale», non riusciva a spiegarsi cosa stesse accadendo all'ignaro paziente. Non potevano immaginare che fosse in overdose.

I racconti sono quelli di una scena da film, tipo E.R.: momenti di paura, i minuti, i secondi tiranni, il tempo che scorre con l'incubo di non averne più. Di non fare abbastanza in fretta. Fasi concitate rotte all'improvviso dalle sorprendente «soluzione» proposta dalla stessa infermiera. Che suggerì di tentare col Naxolone, ovvero un farmaco inibitore degli oppiacei. Insomma una sorta di anti-droga. Ma perché quell'idea?

Di fronte al «nulla» i dottori, comunque, tentarono. E, a sorpresa, l'antidoto funzionò. Ciò che non si capiva - come evidenziarono le immediate analisi del sangue - era come potessero trovarsi tracce di morfina nel corpo del neonato. Non era stata prescritta, dunque qualcuno doveva aver sbagliato. Nei giorni successivi il bambino (residente a Verona) migliorò e quindi venne dimesso e «consegnato» finalmente ai genitori. Non per questo si fermò l'indagine interna, avviata dalla direzione dell'ospedale. Del caso venne informata la polizia, con una denuncia sporta dal Borgo Roma contro gnoti. Giorno dopo giorno a medici e investigatori cominciò a palesarsi l'ipotesi che non si fosse trattato di un drammatico errore. Controlli e verifiche su turni e presenze, accesso ai farmaci e soprattutto il mormorio dei corridoi, portarono presto a puntare il mirino sulla 43enne. Una collega lo aveva ammesso: «Quando l'ho vista con bimbo in braccio mi ha detto che era rognoso, che l'aveva sedato. E che l'aveva già fatto con altri.

Probabilmente l'infermiera, trasferita nel frattempo in altro reparto, e da ieri in una cella, non voleva uccidere. Almeno così pensano gli uomini della squadra mobile di Verona e la gip Livia Magri, che su richiesta del pm Elvira Vitulli ha firmato l'ordine di custodia cautelare. Non si parla di tentato omicidio. Le accuse contro di lei sono quelle di lesioni aggravate e cessioni di sostanze stupefacenti.

Forse un po' poco.

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