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Due difetti nel piano di Giorgia

Dal 1995 l'elezione popolare diretta del capo dello Stato è il cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi

Due difetti nel piano di Giorgia

Dal 1995 l'elezione popolare diretta del capo dello Stato è il cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi. E il motivo è di solare evidenza. L'elezione popolare diretta del capo dello Stato e il presidenzialismo incidono sul sistema dei partiti e propiziano il bipolarismo.

Se il Parlamento in seduta comune a gennaio ci ha dato uno spettacolo desolante, al punto che alla fine i capigruppo della maggioranza hanno scongiurato Mattarella di restare al proprio posto, perché non far eleggere direttamente il capo dello Stato dal popolo sovrano?

Ai tempi della commissione bicamerale, Fini si accontentò della pura e semplice elezione diretta nel quadro della forma di governo parlamentare. Più avveduta del presidente di Alleanza nazionale, ci vuol poco, Giorgia ha pensato che non poteva bastare. Occorreva un semipresidenzialismo alla francese. Tanto più che il nostro parlamentarismo ha retto finché partiti forti hanno compensato istituzioni deboli.

Purtroppo il famoso ordine del giorno Perassi approvato all'Assemblea costituente è rimasto un pio desidero perché quei correttivi stabilizzatori che auspicava sono rimasti sulla carta. Del resto, ci sono parlamentarismi buoni come quello inglese e parlamentarismi meno buoni come quelli della Terza e della Quarta Repubblica francese. Così come ci sono semipresidenzialismi meno buoni come quello della Seconda Repubblica francese, quando Luigi Napoleone, le Petit rispetto al grande zio, fece il colpo di Stato.

Una ricetta, il presidenzialismo e dintorni, prospettata sia da uomini di sinistra come Léon Blum, Piero Calamandrei, Randolfo Pacciardi e Bettino Craxi, con la supervisione di Giuliano Amato, sia da uomini di destra come Giorgio Almirante, in odio a una partitocrazia ben denunciata da Maranini. E oggi più che mai l'intero centrodestra è schierato a favore del presidenzialismo. Valgono poi le considerazioni di Vincenzo Cuoco riprese poi da Giovanni Giolitti: se un popolo ha la gobba, il sarto si deve adeguare.

Tuttavia la proposta della Meloni ha due nei. Dopo aver disegnato un presidente della Repubblica come vero capo del potere esecutivo, gli si attribuisce un ruolo di garanzia: le due cose fanno a pugni. E poi prevede la mozione di sfiducia costruttiva, tipica dei regimi parlamentari o addirittura assembleari, dove il Parlamento disfa e fa i governi a piacimento. In barba al capo dello Stato. E allora urgono costituzionalisti, possibilmente bravi. Ma Giorgia non dovrà cercarli con il lanternino. Da che mondo è mondo si corre sempre in soccorso del vincitore. O presunto tale.

In Italia più che altrove.

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