"Due Stati? Idea piena di incognite"

L'analista: "Progetto difficile da realizzare. Le resistenze di Israele legate alla sicurezza"

"Due Stati? Idea piena di incognite"
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Dario Fabbri, analista geopolitico, direttore di Domino, è autore di «Geopolitica umana» (Gribaudo). Due popoli, due Stati, dice il titolare della Farnesina. Possibile?

«Le dichiarazioni di Tajani le trovo molto intelligenti, perché non sono di rottura con Israele. Ma nette. Di reazione sproporzionata non hanno parlato neppure gli americani così esplicitamente. L'hanno lasciato intendere, con Biden che ha fatto sapere che gli Usa studiano ciò che Tsahal compie a Gaza per vedere se ci sono crimini, ma non hanno detto reazione sproporzionata. L'Italia l'ha fatto, credo per ricavarsi una sua posizione, oltreché per ragioni elettorali, perché l'opinione pubblica è filopalestinese».

Cosa manca tra le parti per arrivarci?

«Reciproca fiducia. Altrimenti sembra che Israele sia schizofrenico o mosso da chissà quale cattiveria. La reazione a Gaza resta sproporzionata, ma mettiamoci nei panni di Israele. È stato attaccato più volte nella storia da coalizioni di Paesi arabi in nome della causa palestinese. Uno Stato vivrebbe dentro Israele di fatto, non ci sono cuscinetti. Per Israele significa rinunciare alla sicurezza».

Questo è un punto ribadito dall'Italia.

«Non è un capriccio, non è che gli israeliani negano ideologicamente lo Stato dei palestinesi; a parte frange minoritarie. È questione di sicurezza. Ma della causa palestinese agli altri Paesi arabi non interessa niente. Gli egiziani tengono chiuso il varco di Rafah per non avere profughi. La Giordania dice che i suoi palestinesi dovranno tornare nella terra che lasciata nel '48. La causa viene sventolata strumentalmente dai Paesi arabi».

Si deve ripartire dalla risoluzione Onu del '47 o da zero?

«Quella non parlava di popolo palestinese, li identificava come arabi. La soluzione due Stati parte da evidentissimi handicap».

C'è anche una questione demografica. Dove crearlo, uno Stato?

«Verissimo, la Cisgiordania ha più di 4 milioni di abitanti, la Striscia più di 2 e un tasso di fertilità alto. E la Striscia è grande come il Lago di Garda. È impossibile immaginare lì uno Stato. La soluzione dei due Stati nella concretezza non c'è, nemmeno quando si dice che gli Usa son pronti ad annunciarne uno se cessa il fuoco. Con quali confini?».

Con quale interlocutore...

«Appunto, assegnato a chi?».

Nelle piazze occidentali, anche italiane, sentiamo slogan come "Dal Giordano al Mediterraneo". Significherebbe cancellare Israele dalla mappa. Non è curioso?

«Non c'è dubbio. Chi gli garantisce che Siria o qualsiasi Stato che emergesse, non usasse la Palestina semi-indipendente come trampolino d'attacco?».

C'è il rischio di un «Hamastan»?

«Hamas è in linea teorica l'opposto dell'Iran. Eppure stanno insieme in chiave anti-israeliana. Israele dice: se noi diamo uno Stato indipendente ci ritroviamo l'Iran in casa. Israele è una superpotenza, sì nucleare, ma piccina. E ciò non vuol dire sicura in assoluto. Meglio trovare garanzie».

Come?

«Non ne ho idea. Sento dire mettiamo forze di interpolazione, tipo Caschi blu, Unifil in Libano. Ma quelli esistono quando una guerra già non c'è più. Appena riscoppia se ne vanno».

L'Italia è al comando di una missione nel Mar Rosso. Rischiamo qualcosa?

«Riscoprire il ruolo italiano nel Mediterraneo è fondamentale. Meloni ha fatto bene prima a volare in Egitto, ma è un Paese fragile. Qui la questione è Iran contro Israele, Teheran vuol distruggere gli accordi di Abramo.

L'Italia dovrebbe aver coraggio, e un po' la dichiarazione di Tajani va in questo senso, tornare a far ciò che la nostra diplomazia ha sempre saputo fare: giocare su più tavoli. Amica di Israele, ma interlocutore dei Paesi arabi».

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