Da candidato alla presidenza del Senato a candidato alla gogna mediatica il passo è breve: servono solo un anno e mezzo di tempo e un popolo che odia in servizio permanente effettivo. È la parabola triste, solitaria y final di Luìs Alberto Orellana, altrimenti detto lo Scilipoti di Grillo. Una nomea che lo accompagnava da qualche tempo ma che ha avuto la sua rappresentazione plastica nel voto a Palazzo Madama della sera di martedì, quando il governo Renzi si è salvato sulla risoluzione che autorizza il rinvio dal 2016 al 2017 del pareggio di bilancio per un solo piccolo voto: quello di Orellana, appunto. Che lo scorso febbraio è stato espulso dal Movimento 5 Stelle e da allora fa parte del gruppo misto di rito Ilic (che non è uno slavo che gioca in serie A ma la sigla per Italia Lavori In Corso), ma secondo la base grillina dovrebbe accettare anche da fuoriuscito quel vincolo di mandato che è illegittimo per tutti tranne che per i «movimentisti» pentastellati.
Fa perfino un po' pena questo italovenezuelano che, con i suoi 53 anni, è tra i più anziani della pattuglia di marziani spedita nei Palazzi dalle parlamentarie (da qualcuno ribattezzate condominiarie , visto che bastavano poche decine di voti) alle ultime Politiche. Orellana, con quel nome da tanguero stanco e quell'italiano pralinato di spagnolo, fu uno dei primi parlamentari grillini a uscire da quell'anonimato che inizialmente Grillo&Casaleggio sembravano avere imposto. Fu lui infatti il candidato grillino alla presidenza del Senato, e con i suoi bei 52 voti fu per i primi due scrutini il più votato. E so' soddisfazioni.
Da quel momento di gloria furono solo grane per il canuto senatore dei due mondi: espresse qualche idea non kosher secondo Grillo e finì per essere marginalizzato nel movimento. Fino a essere etichettato dallo stesso ex comico con quello che in politica è una specie di marchio di infamia: «Orellana fa parte dei nuovi Scilipoti». Con riferimento al senatore che, uscendo dall'Italia del Valori per appoggiare il governo Berlusconi, ne diventò il salvagente. La fine è nota: in pochi mesi Orellana fu fuori dal partito. Dapprima lui annunciò di volersi dimettere anche da parlamentare. Poi ci ripensò. Per non rinunciare all'indennità, malignò qualcuno dei suoi ex compagni.
Inutile dire che Orellana, bandolero triste, si becca la solita trafila della crocifissione via social network . A piantare il chiodo più gorsso ci pensa il deputato grillino Manlio Di Stefano, che su Facebook definisce Orellana e altri sette tra espulsi e fuoriusciti avidi «traditori» e «servi del potere»: «Il M5S gli chiede di restituire i soldi e loro vanno via». Il post dà la stura a una raffice di offese da parte del solito manipolo di impavidi con nickname : «Luis 30 denari Orellana», «Venduto», «Infamone» le argomentazioni più sottili. Attaccano anche alcuni parlamentari che almeno ci mettono il nome.
Alessandro Di Battista: «Che schifo di uomo, ma lo farò vergognare». Carlo Sibilia: «Qual è la scusa che ti racconti per non sentirti un verme?». Lui, Luìs Alberto, la mette così: «Il mio allontanamento ancora brucia». Dice, caro senatore?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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