E Napolitano fa scudo al premier: con Berlusconi nel 2011 era diverso

L'ex presidente della Repubblica nega le analogie con la tempesta che portò alla caduta del Cav

Anna Maria GrecoRoma No, Matteo Renzi non finirà impiccato allo spread come Silvio Berlusconi, ma rischia molto. Deve rivedere la sua strategia d'attacco all'Europa e capire che nessuna intesa è possibile senza la Germania.Giorgio Napolitano in un'intervista a la Repubblica dà lezioni al premier, che per contrastare il «partito dell'austerità» punta sul fronte riformista dei socialisti europei, mentre servono «intese molto più larghe», e per la sinistra l'«errore sarebbe restare impigliati nella dimensione nazionale».Mette le mani avanti, il presidente emerito della Repubblica, e malgrado le critiche sottolinea che non vede «analogie» tra l'Italia di Renzi e quella guidata dal governo Berlusconi. «Nel 2011 - ricorda Napolitano, che in quei mesi guidò il difficile passaggio dal Quirinale - c'era una grave perdita di credibilità dell'Italia in atto. La maggioranza di centrodestra si andava sfilacciando in modo evidente e, d'altro canto, esisteva un'opposizione che esprimeva una visione di governo, un'idea di come stare in Europa. Oggi Renzi si giova di una maggioranza stabile e l'opposizione è frantumata».Detto questo, però, rimette in riga il premier senza timore di relegare nell'ombra l'attuale inquilino del Quirinale Sergio Mattarella, confermando di voler mantenere il suo ruolo di Kingmaker.Prima bacchettata: le «scelte nuove della politica» non devono ridursi alla rivendicazione di «maggiori margini di manovra negli equilibri di bilancio nazionale», cioè quello su cui tanto insiste Renzi. Piuttosto, devono sollecitare «nuovi progetti d'investimento europei per fronteggiare opere straordinarie per le migrazioni e la sicurezza». E devono realizzare «un'unione di bilancio, o fiscale», creando un ministero del Tesoro e delle Finanze Ue, proprio come chiesto dal governatore della Bce Draghi e dai governatori della Bundesbank e della Banque de France, Jens Weidmann e Francois Villeroy de Galhau, in due interventi su Le Monde e su Sueddeutsche Zeitung che hanno suscitato irritazione nel governo Renzi. Il timore è quello di una manovra europea per «incatenare» ulteriormente l'Italia al Fiscal compact.Seconda bacchettata: Napolitano spiega che non è giusto contestare come «ordini di un'entità esterna» gli indirizzi politici di Bruxelles, perché nascono da decisioni comuni, di cui la stessa Italia è partecipe.Terza bacchettata: con la cancelliera Merkel, insomma, è inutile e dannoso andare allo scontro frontale, dimenticando che l'Europa poggia su «tre gambe»: Germania, Francia e Italia. Dunque, è «inimmaginabile qualsiasi svolta senza e contro Berlino».Quarta bacchettata: le lotte da cavaliere solitario contro i mulini a vento non pagano, per Napolitano, e non bisogna cavalcare l'euroscetticismo per timore di perdere consenso interno. Stavolta, la lezione da seguire è quella del «coraggio» del cancelliere Kohl, quando abbandonò il marco. «Assecondare gli impulsi e le paure collettive - avverte il senatore a vita - scivolando nel populismo, è un rischio da cui guardarsi sempre».Infine, Napolitano indica in Mario Draghi una figura capace di ridare impulso all'ideale europeo. Perché il presidente della Bce «intende agire con tutti i mezzi a disposizione della politica monetaria a sostegno dell'euro e al servizio della ripresa, ma al tempo stesso vede i limiti insuperabili di questo suo sforzo.

Perciò ritiene che si debba completare l'unione monetaria attraverso l'unione bancaria, compreso l'avvio della garanzia europea sui depositi. Superando le posizioni frenanti che vengono dalla Germania. Draghi, peraltro, parla di innovazioni forti in campo istituzionale».

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