Nel variopinto rosario di orrori televisivi se ne è aggiunto uno che non sarebbe venuto in mente neanche al peggior sceneggiatore. La Rai ha aperto una inchiesta su quanto accaduto nella prima puntata di Realiti su Raidue del 5 giugno (non proprio un successone: 428.000 spettatori pari al 2,5% di share). In studio un diciannovenne solitamente sbruffone ma smarrito di fronte alle telecamere, un tale Leonardo Zappalà che si fa chiamare Scarface. In collegamento un altro eroe, ossia Niko Pandetta, nipote di un boss della stidda. Il conduttore Enrico Lucci, nella pericolosa e friabile mania di mescolare l'alto con il basso, aveva deciso di occuparsi di una frangia totalmente residuale della musica leggera, ossia quella dei neomelodici siciliani che cantano in napoletano.
La tragedia di Realiti si è divisa in due atti. Il primo è stato quello nel quale Scarface Zappalà, dopo aver visto un filmato su Falcone e Borsellino, ha commentato con vero linguaggio malavitoso: «Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita, le sanno le conseguenze. Come ci piace il dolce, ci deve piacere anche l'amaro». Più che quello di Al Pacino in Scarface, un vocabolario da Totò Riina nel Capo dei capi. Lucci ha più volte invitato l'ospite a studiare gli eroi siciliani sottolineando che la mafia è il male. Ma il danno era fatto. Dopotutto, questa è la tv di Stato e certe parole in un programma di intrattenimento da prima serata non sono consentite. Lucci ha detto ieri che «non c'è alcun margine di dubbio sulla nostra posizione» e che «io per prima cosa gli ho fatto dire che non è un mafioso». E poi ha giustamente sottolineato di non essere l'autore del programma. Vabbè, è stato un incidente, si dirà. Ennò.
In collegamento c'era anche, come si sa, Niko Pandetta detto Tritolo, arrestato a 20 anni per rapina e spaccio e poi, così recitano le cronache, ripreso dalle forze dell'ordine mentre, dal balcone della casa dove evidentemente stava scontando la pena, lanciava ai complici involucri contenenti droga. Molte delle sue canzoni sono ispirate dallo zio Turi, ossia Salvatore Cappello, arrestato nel '92, condannato all'ergastolo e ora «purtroppo» (come dice il nipote) in regime di 41bis. Nel corso della trasmissione, il consigliere della Regione Campania, Francesco Emilio Borrelli, si era scagliato contro questi cantanti che inneggiano ai boss. Per ricompensa, Tritolo Pandetta ha pubblicato subito dopo su Facebook un video nel quale mostra una pistola (giocattolo, almeno così dice) e poi dice: «Io le pistole ce l'ho d'oro. Sono onorato di mio zio perché ha fatto 28 anni di 41bis da innocente». Insomma, uno scenario imbarazzante che evidenzia quantomeno una clamorosa sottovalutazione autorale. Dopotutto, basta leggere qualcuna delle canzoni (canzoni?) di Pandetta per rendersi conto che i testi sono sostanzialmente un'apologia di reato. Ora la Rai ha aperto una istruttoria «doverosa ma non sufficiente» secondo il presidente della Vigilanza Barachini.
L'ad Fabrizio Salini chiede scusa. E il programma è stato «retrocesso» in seconda serata. Ma, al netto di qualsiasi sanzione, quest vicenda è un'offesa a chi si batte per la legalità e in tv manco lo invitano perché non fa ascolti.
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