RomaIl popolo Marziano insiste, protesta, rivuole Ignazio Marino sindaco e lo va a urlare sotto le finestre del Nazareno. «Renzi nuo-vo du-ce», intona tra gli slogan anti-mafia, anti-Matteo, anti-Vaticano. Sarà questa la mina vagante, valutata dai sondaggisti fino all'8% dei consensi, delle elezioni di primavera nella Capitale.
Una grana in più, per il segretario-premier (non ancora duce), che conta di superarla grazie al successo mediatico del Giubileo «a sorpresa», come l'ha definito l'altra sera in tivù. Consapevole che, se la squadra che gestirà i primi mesi di Giubileo, saprà far funzionare la città, la partita per conservare il Comune non è persa in partenza. Dalle riaffermate primarie si sono sfilati fin d'ora il ministro Gentiloni e il governatore del Lazio Zingaretti, mentre il Capo resta trincerato dietro il prefetto per la nomina del commissario. Le quotazioni dell'assessore Sabella sembrerebbero in calo (Renzi ne ha smorzato un po' gli ardori, riscontrabili in quotidiane interviste), anche se ieri il focoso magistrato è stato visto a braccetto con il prefetto Gabrielli dopo la messa per la festa dei vigili urbani. Quella della legalità sarà comunque la trincea di Roma, e un commissario con otto subcommissari di rango (Renzi pensa persino all'ex comandante generale dei carabinieri, Leonardo Gallitelli), più qualche assessore da confermare tra quelli già imposti a Marino (Esposito, Rossi Doria e forse Causi), garantiranno ciò che il premier vuole. «Chi può deve dare una mano, perché Roma viene prima di tutto».
La «fissa» per la legalità non è nuova, per Renzi. È una coperta mediatica importante per tenere in sordina le chiacchierate vicende fiorentine. Sia quelle di papà Tiziano - ieri il gip di Genova ha disposto ulteriori indagini sulla bancarotta fraudolenta da 1,3 milioni di euro della società Chil Post , nella quale è implicato -, sia quelle personali. Il capitolo più recente e appetibile è quello degli scontrini: perché se Marino s'è fatto beccare con le mani nella marmellata per pochi spiccioli (meno di 20mila), i pranzi di rappresentanza di Renzi nei cinque anni alla Provincia di Firenze pare che ammontino a quasi 600mila euro. I calcoli e i menù li sforna il Fatto quotidiano , che ha intervistato anche uno dei suoi ristoratori fiorentini preferiti, Lino Amantini. Pietanze succulente, dunque, che hanno provocato la riapertura di un fascicolo alla Corte dei Conti nonché un risentito sms del premier al giornale di Travaglio. «Io ho messo online tutte le spese, per primo in Italia - scrive Renzi -. E tutte le volte che ho mangiato con mia moglie e la mia famiglia ho pagato di mio, come è ovvio. Sia da Lino che da altri. Peraltro tutte le mie spese dal 2004 al 2013 sono state al vaglio nome per nome, pranzo per pranzo, di pm e Corte dei conti. Non è possibile che Lino dica che il Comune pagava le mie cene con mia moglie (che poi saranno stati tre o quattro pranzi quando lei insegnava in città). Perché lui voleva offrirmeli e io proprio per questo insistevo per pagarli. Io certe cose non le faccio. E comunque ci sono le ricevute del Comune e le mie personali. Mai fatto tavolate con moglie e amici. Quando ero con mia moglie, ero con lei – prosegue il premier –. Tra l'altro, il pranzo che viene citato era nel 2006, quando non ero ancora neanche in Comune. A questo punto faccio fare una nota ufficiale, lo dico a Filippo Sensi».
Peccato, annota il quotidiano, che questa nota non si sia mai vista: né in redazione né sulle agenzie. Travaglio ora chiede di sapere anche i nomi dei commensali di Renzi, come ha fatto Ignazio finendo stritolato. Ma qui si sbaglia di grosso, perché Matteo non è né fesso né marziano. Fa solo l'indiano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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