
"Suonava più forte". Donald Trump non scomoda la geopolitica per spiegare la decisione di ribattezzare, in occasione del 200º giorno della sua seconda Presidenza, il dipartimento della Difesa, in "dipartimento della Guerra". Un ritorno al passato - l'attuale nome venne adottato con un atto del Congresso nel 1949 - che è in linea con la Restaurazione in corso da mesi, dai dazi al ripristino della statue confederate, che caratterizza il Trump 2.0. È in linea anche col ritorno al "warrior ethos", l'ethos guerriero che il segretario della Difesa (ora sarà "della Guerra") Pete Hegseth ha promesso di riportare al Pentagono, dopo la "stagione woke" della precedente Amministrazione Biden. Il "rebranding" sembra anche essere una conseguenza del concetto di "peace through strength", pace attraverso la forza, coniato a suo tempo da Ronald Reagan e riproposto dal tycoon per la sua visione del mondo. Del resto, "si vis pacem para bellum", avevano già intuito i Romani.
"A tutti piace il fatto che avessimo una storia incredibile di vittorie quando era il dipartimento della Guerra", ha detto Trump parlando coi giornalisti nello Studio Ovale. "Poi l'abbiamo cambiato in Dipartimento della Difesa", ha aggiunto. E tra le righe si possono forse leggere il Vietnam e le guerre in Afghanistan e Irak (la seconda). Non perse, ma nemmeno vinte. Nello Studio, intanto, il tycoon ha fatto piazzare una statua di George Washington, il Padre della Patria che coniò per primo il nome riportato ora in vita. Eppure, col dipartimento della Difesa gli Stati Uniti hanno vinto la Guerra Fredda. Evidentemente, a Trump non basta di fronte allo spettacolo di potenza high-tech andato in scena nella grande parata militare di Pechino, dove il meglio dell'Esercito Popolare di Liberazione ha sfilato in mondovisione davanti a Xi Jinping, Vladimir Putin e Kim Jong-Un. Uno show che ha sovrastato, per quantità di uomini e mezzi, quello messo in mostra da Trump nel giorno del suo compleanno, il 14 giugno, per celebrare i 250 anni dell'Esercito Usa. Il tycoon aveva poi replicato col sorvolo dei super bombardieri B-2 sulla testa di Putin, in occasione del vertice di Anchorage, in Alaska, e di nuovo coi caccia F-35, F-16 e F-17 che martedì hanno fatto più passaggi sulla Casa Bianca, in onore del presidente polacco Karol Nawrocki. Il rebranding, a dire il vero, sarà parziale. Ma avrà un costo. Per cambiare il nome del dipartimento servirebbe un atto del Congresso. Per questo, l'ordine esecutivo firmato dal presidente stabilisce che "dipartimento della Guerra" sarà il "titolo secondario" del ministero. Ma allo stesso tempo, sarà quello da utilizzare nelle comunicazioni interne ed esterne, consentendo anche a Hegseth di poter utilizzare il titolo di "segretario alla Guerra". Quanto ai costi, si prevede che ci vorranno centinaia di milioni di dollari per rebrandizzare il Pentagono: dalla carta intestata, alle insegne delle installazioni militari sparse in America e nel mondo. I critici fanno notare che il passaggio da "Difesa" a "Guerra" è in contraddizione con l'aspirazione di Trump al Nobel per la Pace. "Ho messo fine a sette guerre", continua a ripetere in questi giorni.
Anche se, è il New York Times a rivelare che nel 2019, nel mezzo dei colloqui nucleari con Kim Jong-Un, Trump ordinò ai Navy Seal di piazzare un dispositivo elettronico in Corea del Nord, per intercettare le conversazioni del dittatore.
I Seal approdarono su una spiaggia deserta, ma vennero avvistati da un'imbarcazione, probabilmente di pescatori, che non sopravvissero all'incontro. Missione abortita. Ma il rischio che corsero i militari Usa, se scoperti, fu quello di innescare un conflitto nucleare con Pyongyang. La missione non venne mai notificata al Congresso.