Ecco le 5 menzogne delle ong

Dalla mancanza di carburante alle condizioni sanitarie, ecco tutte le balle usate dalle ong per riuscire a sbarcare in Italia

Ecco le 5 menzogne delle ong

Non è facile dipanare la verità dalla propaganda, specie se di mezzo ci sono le organizzazioni non governative. Da quando le loro scorribande nel Mar Mediterraneo sono state rese più difficili dai provvedimenti restrittivi del governo italiano, si sono dovuti ingegnare e usare mezzucci per giustificare le proprie missioni a ridosso delle coste libiche

Un passaggio in un recente servizio di SkyTg24 ha svelato le bugie raccontate dalla “Mediterranea Saving Humans" per giustificare il trasbordo di una quarantina di migranti irregolari. L'ong fondata da Luca Casarini non è certo l'unica a raccontarle. A metterle in fila appare chiaro che seguono tutte lo stesso schema: il rischio di naufragio, le condizioni sanitarie dei migranti a bordo e la mancanza di carburante o di acqua. Una volta che la navi sono riuscite ad ottenere l'attracco a un porto italiano, la verità viene a galla. E differisce dalla narrazione via social degli ultrà dell'immigrazione.

Ecco alcuni esempi:

1) quando nei giorni scorsi la Alex, la barca "da crociera" affittata da Mediterranea dopo che è stata messa sotto sequestro la Mare Jonio, ha recuperato quaranta immigrati ha spiegato che "per le condizioni psicofisiche delle persone a bordo e le caratteristiche della nave" non era assolutamente in grado di affrontare la traversata verso Malta. Non solo, al momento del "salvataggio", scrivevano su Twitter che i "naufraghi" erano "in pessime condizioni" e che c'era una donna "in gravi condizioni". Intervistata da SkyTg24, però, Giulia Berberi, medico che si trovava a bordo del veliero, ha raccontato tutt'altra storia (guarda il video): "Noi li abbiamo trovati sul gommone che in realtà erano in buone condizioni". E ancora: "Il problema è stato che ci trovavamo in zona libica e i libici stavano arrivando a prenderli, quindi immediatamente li abbiamo caricati sulla barca e siamo partiti". Quando poi dalla Valletta è arrivata l'offerta di attracco, la Alex ha tirato dritto verso l'Italia.

2) anche l'intervento della nave "Alan Kurdi" non è così cristallino come vogliono farci credere. Dal gommone, su cui viaggiavano 65 migranti, non era partito alcun sos perché, come ha rivelato il capo missione Gordon Isler, "gli occupanti non avevano telefono satellitare o gps". "Le persone a bordo hanno avuto una fortuna incredibile a essere stati trovati… probabilmente non avrebbero raggiunto un luogo sicuro e sarebbero scomparsi in mare", ha poi spiegato ammettendo che il gommone aveva un motore perfettamente funzionante e abbastanza carburante. Anche in questo caso l'ong tedesca Sea Eye ha subito rifiutato di tornare in Libia e di attraccare in Tunisia e ha ingaggiato un braccio di ferro fino ad ottenere l'ingresso alla Valletta.

3) quando Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3, ha forzato il blocco speronando le motovedette della Guardia di Finanza, ha invocato lo "stato di necessità" per i quarantun migranti che aveva a bordo. Quando, però, questi sono sbarcati, è subito stato evidente che nessuno di loro stava male. Non sono stati disposti accertamenti specifici né trasferimenti in elisoccorso verso l'ospedale di Palermo. I malati e bambini erano già stati fatti scendere. Nulla giustificava, dunque, l'attracco non autorizzato e, soprattutto, lo speronamento della motovedetta.

4) tutte le ong puntano sempre ai porti italiani. In molti casi spiegano di aver abbastanza carburante per riuscire a raggiungere altre destinazioni. Talvolta è anche vero. Ma fino a un certo punto. La Libia e la Tunisia vengono scartate a priori perché non le vogliono considerare "porti sicuri". Malta è l'extrema ratio, quando la trattativa va proprio male. Ma nessuna di queste si sogna di portare i migranti nei porti del Nord Europa. La Sea Watch 3, per esempio, è stata ben due settimane a zigzagare davanti alle acque territoriali italiane: avrebbe avuto tutto il tempo per navigare verso la Germania, dove ha sede l'ong, o in Olanda, la cui bandiera batte sulla nave. Anche la nave "Alex" si è rifiutata di andare alla Valletta spiegando che "non poteva percorrere 100 miglia". In realtà un documento pubblicato dal Giornale.it svela che il capo missione Erasmo Palazzotto aveva preso in considerazione la possibilità di dirigersi verso la Valletta a patto che "nessuna azione coercitiva" sarebbe stata assunta "nei confronti della nave da parte delle autorità maltesi e italiane".

5) l'aspetto più drammatico della propaganda delle ong è nei tweet che denunciano i morti in mare. Troppo spesso si tratta di fake news create ad hoc per accattivarsi l'opinione pubblica. Il caso più eclatante è stato quando, l'anno scorso, l'ong spagnola Proactiva Open Arms ha accusato la Guardia costiera libica di aver "affondato una barca e lasciato morire una donna e il suo bambino". “Sono assassini arruolati dall'Italia”, ha detto il fondatore Oscar Camps. Due testimoni, una giornalista tedesca e un freelance libico, lo hanno però smentito: "In mare non c'erano corpi". Anche a fine maggio, quando il pattugliatore Cigala Fulgosi ha recuperato 100 migranti, Alarm Phone, il centralino che risponde a un numero francese, aveva parlato di "una bambina di 5 anni morta a bordo". Fortunatamente la notizia era infondata, ma ha permesso di riaccendere i riflettori su questa organizzazione che, secondo i ben informati, viene usata "anche dai trafficanti sotto mentite spoglie per sollecitare i soccorsi".

Di esempi potevamo farne molti di più.

Questi bastano a dimostrare come la filiera delle operazioni di soccorso orchestrate dalle ong sia costellata da vere e proprie menzogne che gli ultrà dell'accoglienza usano per raggiungere i propri fini politici.

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