Politica

Ecco un altro Mostro di Firenze È un ex legionario di 87 anni

Indagato Giampiero Vigilanti, conosceva Pacciani Ma giura: «Non c'entro nulla, Pietro l'ho pure picchiato»

Andrea Acquarone

Il giallo più «nero» d'Italia, il caso per antonomasia - anzi i casi che per 20 anni angosciarono il Paese e nemmeno oggi, quasi mezzo secolo dopo, possono dirsi risolti - si riapre. In modi e tempi inusuali, imprevisti, ma con un canovaccio già visto. Confuso, aleatorio, fatto di supposizioni, ripensamenti, ipotesi ardite. Chi era davvero il «mostro di Firenze»? O quanti erano? Quanti si armarono per andare a massacrare coppiette, disegnando un macabro cerchio di sangue e orrore nei boschetti attorno al capoluogo. Da Scandicci a Saggianale. E poi: esiste un mandante rimasto impunito, ammesso sia ancora vivo? Si parlò di un maniaco, di satanismo, persino di massoneria, passando anche per un'improbabile pista sarda. Otto agguati, sedici omicidi dal 1968 al 1985, commessi sempre con la stessa arma, una Beretta calibro 22 caricata con pallottole Winchester. Il Mostro colpiva sempre alla vigilia di una qualche festività. Ogni volta mutilava e profanava le sue vittime. Poi ne spediva lembi di pelle agli investigatori. Quante suggestioni, quanti interrogativi, tutti rebus cui inchieste ramificate ma spesso abortite, arresti, processi approssimativi, appelli, fragili sentenze non hanno mai trovato soluzioni certe, univoche. Al contrario, oggi i dubbi si riaccendono, ritrasformando quello che sembrava un mistero destinato a rimanere tale, o perlomeno svelato solo in parte, in una sorta di infinito feuilleton. Ecco, così, riapparire dal passato, quasi come fantasma, un personaggio sfiorato a suo tempo dalle indagini, quelle che portarono alle condanne di Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, i «compagni di merende». È un ex legionario ormai più che attempato (ha 87 anni), si chiama Giampiero Vigilanti, oggi residente a Prato ma originario di Vicchio, lo stesso paese di Pacciani. È indagato nell'ambito di quest'inchiesta mai chiusa e ancora nelle mani del pm Paolo Canessa. Il suo nome comparve un paio di volte nei dossier degli inquirenti: nel settembre 1985 quando - tre giorni prima della perquisizione a Pacciani - venne controllato dopo che alcuni vicini di casa lo avevano segnalato come un possibile «mostro»; poi, quando dopo una lite, gli vennero trovati in casa 174 proiettili serie «H», proprio lo stesso tipo di quelli utilizzati dal serial killer. Ma tutto fu considerato, almeno ai tempi, una coincidenza. Lui, oggi uomo ricco grazie a una milionaria eredità americana, è rimasto persona semplice. Si potrebbe definire un po' rozza, come del resti tutti i «compagni di merende». Con eloquio zoppicante, si difende a spada tratta davanti ai microfoni Rai: «Non ho paura di niente, non ho fatto nulla. Ho sempre avuto 4 pistole: i carabinieri sono venuti da me e poi se ne sono andati, quindi vuol dire che sono in regola». Ai giornalisti non fa mistero del fatto di aver conosciuto Pacciani. E racconta di aver avuto col contadino di Mercatale, quando erano giovani uno scontro violento: «Pacciani - ricorda l'ex legionario - aveva rubato il lavoro al mio babbo. Siccome mio babbo si sarebbe compromesso, allora ci ho pensato io: gli ho dato una bastonata in testa, gliel'ho aperta la testa, ma lui non ha fatto nemmeno denuncia». Eccolo qua il nuovo «serial killer».

La mente torna così alle parole pronunciate da Francesco Ferri, ex presidente della corte d'Appello che assolse Pacciani, dopo la condanna in primo grado. Lui si dimise dalla magistratura «sbigottito e indignato». Scrisse un libro. «Questa del mostro di Firenze è una faccenda che puzza tremendamente», un insieme di «falsità, di menzogne, di inverosimiglianze, di gravi deficienze, di pseudo-testi, di gazzette insufflate: l'improbabilità dei racconti, la falsità oggettiva sui punti di rilievo, l'insistere a senso unico su un'indagine che si muove sulle sabbie mobili di una più che dubbia attendibilità fa trascurare le residue possibilità di identificare il vero omicida...

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