Ecco come "controlliamo" i sospetti terroristi

I nomi tenuti d'occhio, intercettati e pedinati. Monitorati siti e social. Però la spending review chiude 251 presidi di polizia

Attenzionati, ma come? Dopo gli attentati parigini, il ministro dell'Interno Angelino Alfano ha spiegato che, anche se non vi sono elementi concreti che indichino nell'Italia un obiettivo degli integralisti, l'allerta è comunque al massimo. Tutti i soggetti a rischio, dai foreign fighters ai «reclutatori» fino ai semplici sospettati di «contiguità terroristica» inoltre sarebbero monitorati. Ma in che modo vengono «seguiti» i potenziali jihadisti dalle autorità? Proprio mentre il governo annuncia un giro di vite sulla sicurezza, con norme più stringenti, l'individuazione di obiettivi sensibili da proteggere e un difficile lavoro di prevenzione da portare avanti, i sindacati di polizia si dicono perplessi da annunci che a loro dire mal si conciliano con le politiche di lacrime e sangue imposte dalla spending review . Politiche che, per dirne una, porteranno il prossimo 31 gennaio alla chiusura di 251 presidi di polizia in tutto il Paese.

Di certo, la macchina dell'antiterrorismo è in moto a prescindere dalle polemiche. E a prescindere, almeno in parte, da quanto accaduto a Parigi. «Se dovessimo metterci al lavoro da oggi, avremmo già fallito il nostro compito», spiega un carabiniere esperto nel contrasto alla minaccia del terrorismo internazionale. «Il nostro è un lavoro di grande programmazione, coordinamento e cooperazione tra forze di polizia e intelligence, oltre che di continuo scambio di informazioni con le polizie degli altri stati». La sicurezza nazionale è affidata a loro, e al network di fonti e informatori che permette a intelligence, polizia e carabinieri di individuare i soggetti potenzialmente a rischio. Comunità, luoghi di culto, internet, centri di accoglienza per immigrati. Niente viene trascurato. I nomi già noti alle forze dell'ordine vengono tenuti d'occhio e, se interessati da inchieste, intercettati e pedinati. L'antiterrorismo utilizza metodologie create negli ultimi anni finalizzate a valutare i cosiddetti «comportamenti spia», che permettono di individuare una persona invece di un'altra su cui concentrare le attività. L'altro fronte caldissimo è quello del web. Internet è ormai il luogo dove i jihadisti del nuovo «terrorismo molecolare» trovano il materiale per radicalizzarsi, ed è anche la fonte di informazione per costruire armi e ordigni, oltre che il mezzo di comunicazione d'elezione per mettere in contatto gli aspiranti jihadisti tra loro e con le filiere internazionali. Il monitoraggio di siti, forum e social network dunque è costante, anche se per accedere a chat chiuse e siti riservati serve comunque l'autorizzazione della magistratura, e il fronte informatico dev'essere affidato a personale esperto non solo nell'antiterrorismo ma anche nelle lingue.

Se la battaglia è dura, però, come detto, qualcuno ritiene che l'annunciato «giro di vite» sulla sicurezza sia nulla più di un mero annuncio. «Altro che rafforzare, qui stiamo smantellando l'apparato della sicurezza», spiega il segretario nazionale del Sap, Gianni Tonelli. «Vogliono proteggere gli obiettivi sensibili, ma in nome della spending review chiuderanno 251 presidi di polizia. Vogliono aumentare il monitoraggio del web, ma chiudono 70 uffici della polizia postale. Servono forze qualificate professionalmente, ma non si fanno corsi di formazione». Quanto all'immigrazione, Tonelli denuncia che la nostra «rete di protezione non è un colabrodo, ma proprio una porta aperta».

E la sicurezza? «I miei colleghi sono animati dalle migliori intenzioni, ma mancano mezzi, uomini, norme e anche sostegno morale. Alfano - conclude Tonelli - mi dica chi ha messo in campo, in questa lotta al rischio terrorismo».

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