Ecco cos'è il modello australiano "No Way" La regola anti trafficanti che ispira la Lega

Nel Paese dei canguri non sbarca più nessuno. E uno spot avvisa chi ci prova

Ecco cos'è il modello australiano "No Way" La regola anti trafficanti che ispira la Lega

Roma Senza visto, «no way»: non c'è modo di fare dell'Australia la propria casa. Citata da molti come modello di ferreo controllo degli ingressi illegali, la politica australiana per l'immigrazione è ora apertamente diventata il modello che ispira Matteo Salvini. «Voi sapete che in Australia c'è il principio del «No way»- ha detto il ministro dell'Interno parlando del caso della nave Diciotti,- nessuno di quelli che vengono salvati in mezzo al mare mette piede sul suolo australiano». «A questo si dovrà arrivare», ha concluso, eleggendo chiaramente la linea australiana a principio ispiratore della sua azione.

E in effetti agli antipodi lo stop agli sbarchi è ormai una pratica concreta, dall'efficacia indiscutibile tanto che, nonostante le critiche internazionali, il governo australiano non ha mai davvero pensato di fare marcia indietro su una politica di «tolleranza zero» in vigore ormai da anni. La parte più visibile è la campagna di propaganda volta a scoraggiare le partenze, ma il meccanismo è ben più ampio di un semplice spot anti trafficanti come il «No Way» citato da Salvini. Il 18 settembre 2013, il premier conservatore Tony Abbott ha lanciato l'operazione «Sovereign Borders» affidando ai militari la gestione dei flussi migratori via mare, dopo che l'anno precedente si era toccato il numero di 20mila persone sbarcato, una cifra risibile in confronto alle 150-180mila annue arrivate in Italia negli anni più «caldi» dell'emergenza nel Mediterraneo. Il cuore dell'operazione consiste in una ferrea vigilanza in mare: come spiega il comandante dell'operazione Angus Campbell nel video citato da Salvini il cui slogan è chiarissimo: «No way: non farete dell'Australia la vostra casa». Il principio di fondo è che chiunque entri senza un visto nelle acque territoriali australiane non riceverà mai un permesso di soggiorno. I militari intercettano praticamente tutte le imbarcazioni in arrivo e le riaccompagnano nelle acque territoriali di provenienza, grazie anche ad accordi con i Paesi confinanti, piuttosto solidi nel caso dello Sri Lanka, un po' scricchiolanti nei confronti dell'Indonesia che, in alcuni casi, ha lamentato l'invasione delle proprie acque da parte della marina australiana. Di fatto però, come spiega Campbell nel video «la regola si applica a chiunque: famiglie, bambini, ragazzi educati e qualificati: non ci sono eccezioni». «Non credete alle bugie dei trafficanti: -scandisce il comandante che compare nel video vestito con la mimetica- questi criminali ruberanno i vostri soldi, mettendo a rischio la vostra vita e quella della vostra famiglia per niente».

I pochi che secondo le regole australiane potrebbero aver diritto all'asilo, vengono accompagnati in centri di accoglienza situati a Papua Nuova Guinea e Nauru, Stati esteri che hanno accordi con l'Australia. L'operazione costa 300 milioni l'anno. Ma all'Italia servirebbero partner disponibili a fare accordi simili a quelli australiani. RR

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