Luigi Di Maio ha mentito. Più volte. Sapeva dal 4 agosto dell'indagine a carico di Paola Muraro, l'assessore all'Ambiente nella bufera per le sue consulenze all'Ama. Ad informare il furuto candidato premier grillino era stata Paola Taverna, membra del direttorio romano che vigila su Virginia Raggi. Due sms che inchiodano Di Maio, colpevole anche lui di aver mentito più volte dicendo a giornali e telegiornali di non poter commentare perché non a conoscenza di notizie certe.
Le tappe delle bugie di Di Maio
Andiamo con ordine. Il 18 luglio scorso Paola Muraro apprende di essere iscritta al registro degli indagati grazie al 335, atto con cui un soggetto chiede alla Procura di conoscere la sua posizione processuale. La Muraro però tace con i cittadini fino al 4 settembre, giorno in cui la Raggi e la Muraro vengono ascoltate dalla Commissione Ecomafie. Quasi 50 giorni di silenzio.
A quel punto l'assessore ne parla alla Raggi che dice di averlo subito comunicato al direttorio romano (Paola Taverna, Stefano Vignaroli, Fabio Massimo Castaldo e Gianluca Perilli). Qui i primi dubbi. Il direttorio romano ha informato quello nazionale? Di Maio, Di Battista, Fico e Sibilia dicono di non sapere nulla e lo sostengono fino a ieri, quando hanno smentito retroscena che li volevano a conoscenza della situazione.
Il 2 agosto si vedono tutti a cena: sindaco, il vide Daniele Frongia, il direttorio romano e quello nazionale. Ma a sentire Roberto Fico non si sarebbe parlato del "caso Muraro", anche se è sulle prime pagine di tutti i giornali e il M5S è sotto attacco. Poniamo anche che sia vero. Di Maio il 4 settembre alla festa del fatto dice testualmente: "Se arrivasse un avviso di garanzia all'assessora? Non faccio dichiarazioni sui se". Come a dire: non ne so nulla.
E invece non è così. Come può documentare Repubblica, infatti, il 4 agosto Di Maio viene informato sia dalla Taverna che da Fabio Massimo Castaldo dell'indagine a carico della Muraro. La Taverna risponde ad un suo messaggio dicendogli che "il 335 non è pulito". E questo significa che l'assessore è indagato. Poi i dettagli li fornisce Castaldo, europarlamentare laureato in legge, che gli comunica che il reato contestato è riguarda "il comma 4 dell'articolo 256 del Testo unico sull'Ambiente". Ovvero: "L'inosservanza delle prescrizioni o la carenza dei requisiti previsti per legge da parte del gestore degli impianti per il trattamento dei rifiuti".
A questo punto, seguendo le regole dell'onestà grillina, Di Maio avrebbe dovuto informare cittadini ed elettori. E invece tace. Forse lo tiene nascosto anche agli altri membri del direttorio. Nel pomeriggio del 4 agosto addirittura si schiera con un tweet a difesa della Raggi: "La nostra colpa a Roma è non avere risolto in venti giorni le emergenze create dai partiti in vent'anni". Ma non una parola sull'indagine.
Non finisce qui. Come ricostruisce sempre Repubblica, Di Maio il giorno dopo (5 agosto) riceve una mail dalla Taverna in cui lo informa sui dettagli dell'inchiesta. Mail che a quanto pare non arriva a Di Battista, Sibilia e Fico. È questa la famosa "mail fantasma" che prima Di Maio dice di non aver ricevuto e poi sostiene di non aver capito. Il testo è stato riportato dal Messaggero: "L'assessore in ogni caso è già indagata". La scusa addotta da Di Maio ("Non ho capito la mail") che non sta proprio in piedi.
Comunque il 5 agosto il direttorio continua a difendere la Muraro e a rinnovargli la fiducia. Come mai Di Maio non ha messo a conoscenza tutti di quanto sapeva e invece il 4 settembre addirittura sostiene che "le lobby dell'acqua, dei rifiuti e delle Olimpiadi" stanno ostacolando il lavoro grillino?
Si arriva così al 4 settembre, quando la notizia sulla Muraro diventa pubblica. Ma Di Maio si nasconde e alla festa del Fatto Quotidiano dice di non voler "fare dichiarazoni sui se". Ma il "se" non esiste, perché lui sa per certo che l'iscrizione al registro degli indagati è realtà dal 26 aprile scorso. Anzi. Durante l'audizione della Commissione Ecomafie il Direttorio giura di "ignorare che la Muraro fosse indagata, né tantomeno ne era a conoscenza il mini-direttorio". E invece sia la Taverna che Di Maio sapevano.
In più, ieri il candidato premier del M5S afferma di non aver capito la rilevanza della mail ricevuta il 5 agosto. Quando in realtà sapeva benissimo di essere un "chiarimento" dell'sms con cui era stato informato dell'indagine.Bugie su bugie.
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