Poi dice che uno si butta (nella mischia). Tutto è in movimento, nella cristalleria del Nazareno assediato dalla folla. Sono gli ambulanti anti-Bolkenstein, che pure non è l'ultimo dei candidati oriundi alle primarie del Pd. Dal retro entrano, scortati da robusti cameramen, invece gli ultimi appassionati del rito congressuale, la Direzione pd che deve votare gli arbitri.
Emiliano c'è, Rossi e Speranza no (non è uno gioco di parole, anche se lo sembra). Loro si considerano fuori: «E grazie, li avete offesi e bastonati», dirà il governatore pugliese nell'intervento. «Di fronte all'avarizia renziana tanta è stata la voglia di andar via», sospira spiegando che, oltre a sognare la California, il dimissionario leader «tiene tutti sotto la spada di Damocle del voto anticipato» e dunque il congresso con «rito abbreviato» sarà per forza il suo nuovo trampolino di lancio. «Con lui in campo il Pd non è contendibile», conferma il primo supporter d'Emiliano, il Francesco Boccia post-dc che viene da Bisceglie e garantisce su un progetto che non sta affatto tutto a sinistra, anzi. «Emiliano tenta di salvare il partito», esagera. Le scorie sono tante, le ferite ancora aperte. Renzi «ha fatto capire che era meglio che D'Alema e Bersani se ne andassero, i bersaniani si sono fatti l'idea che sia inutile contendere la leadership nel Pd». Anche perché il leader vuole vincere «con ogni mezzo». Ma allora, perché star qui a candidarsi e non fuori, a costruire l'Ulivo di D'Alema? «Chi non lotta ha già perso», proclama lo sfidante dal nome rivoluzionario messicano, citando il collega argentino Che Guevara. «Nessuno mi caccia da casa mia».
Ci sono molti modi, per assaltare una cristalleria. Emiliano assicura, come gli altri suoi compagni scissionisti, che non esiste alcuna rottura: ci sarà chi contende il passo a Renzi all'interno e chi da fuori, tutto qui. «Con Rossi e Speranza siamo in collegamento costante, farò di tutto perché rientrino», anche se nel frattempo Speranza annuncia «costruzione di un nuovo soggetto politico che miri a correggere le politiche che hanno allontanto dal nostro campo molti lavoratori, giovani e insegnanti». Emiliano era il più adatto a restare nel Pd: con l'operazione primarie assurgerà a statura di leader nazionale, catalizzando gran parte della minoranza anche qualora si candidi Orlando (per sottrargli voti o per convergere su di lui al secondo turno, lo si vedrà). Ma il gioco a tutto campo ammette varianti, persino in uno statuto e un regolamento che solo Orfini, lasciato a guardia del bidone, considera come tavola della legge. Cuperlo chiede primarie a luglio, per dare un segnale di sostegno e durata al governo, ma Matteo il Grande non vuole e il Piccolo esegue. Trincerandosi, appunto, dietro norme che furono stravolte quando la sfida l'aveva lanciata Renzi a Bersani. C'è ancora nervosismo e le tossine non sono smaltite. Alla fine l'ok alla commissione congresso ci sarà, sia pure integrata con gli uomini che garantiscono Emiliano. La chiarezza «sta naufragando su tatticismi sulle regole», dirà il governatore, «con la stanchezza di chi ha già compreso come andrà questa storia». A lui tocca di fare l'«entrista», come i trotzskisti di un tempo, mentre altri giochi si svolgeranno fuori. E se Romano Prodi misura le parole col bilancino, dichiarando di fare «decine di telefonate riservate», di non essere «indifferente alla scissione», però pure di «non essere in grado di dire nulla sul Pd», per la renziana Repubblica diventa un affiliato alla Causa.
Nei talk tv della sera, Bersani ribadisce le sue ragioni da Floris, D'Alema inaugura la sua nuova stagione in regia (della scissione) da Bianca Berlinguer.
Amica di sempre e, soprattutto, speranza per l'avvenire. Nel progetto di un'aggregazione capace di svuotare il Pd, fino a reinglobarlo, un nome come quello della Berlinguer sarebbe in grado di chiudere il conto col giocoliere di Firenze. Una volta per tutte.