Espulso un kosovaro a Bolzano Da gennaio allontanati in 105

Aveva contatti con gli estremisti e aveva combattuto in Siria. L'Italia è sempre più meta dei jihadisti di ritorno

Chiara Giannini

Sono 105 le espulsioni di soggetti ritenuti pericolosi per la nazione effettuate con provvedimenti firmati dal ministro dell'Interno, Marco Minniti, su segnalazione del Dipartimento della Pubblica sicurezza, dal 1° gennaio a oggi. Insomma, 105 simpatizzanti del jihad che inneggiavano al Califfato.

I numeri parlano chiaro: l'Italia è una mèta tutt'altro che disprezzata dai combattenti dell'Isis, spesso cresciuti in Europa e poi tornati in Siria o Irak per addestrarsi o per poi far rientro nel vecchio continente e compiere atti terroristici. Basti pensare che le espulsioni, dal 1° gennaio 2015 alla fine dell'anno in corso, sono state 237, tutte riguardanti soggetti gravitanti in ambienti dell'estremismo religioso. L'ultimo a essere riaccompagnato a casa è stato un cittadino kosovaro, rispedito ieri nel suo Paese. Si tratta di un 28enne residente in provincia di Bolzano segnalato, a seguito di una collaborazione internazionale, per essersi recato in Siria, tra la fine del 2014 e i primi mesi del 2015, per combattere nelle file dell'Isis e «per avere svolto attività di sostegno all'organizzazione Rinia Islame Kakanic, il cui leader è estremamente noto per la brutalità dimostrata in alcuni video di propaganda».

Oltretutto, a seguito di approfondimenti portati a termine dal servizio per il contrasto all'estremismo e terrorismo esterno della Direzione centrale di polizia di prevenzione e della Digos di Brescia, è stato accertato che il 28enne aveva contatti con estremisti islamici attivi nel teatro siriano-iracheno, alcuni dei quali implicati in progettualità ostili. I dati dicono molto: tra gli altri, i tunisini espulsi nell'arco dell'ultimo anno sono 23, i marocchini sono 20, i kosovari quattro, gli egiziani quattro, gli albanesi quattro, i pakistani quattro, due gli algerini, un macedone, un siriano, un gambiano e un francese.

Insomma, le comunità con un maggior numero di soggetti ad alto rischio «radicalizzazione» ci sono proprio quella tunisina e quella marocchina.

Non ci dimentichiamo degli attentatori passati per l'Italia, come Anis Amri, il terrorista di Berlino ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia a Sesto San Giovanni, Youssef Zaghba, il marocchino che assieme a due complici, il 3 giugno scorso, si è lanciato con un van contro la folla London Bridge nella capitale inglese o, ancora Ahmed Hanachi, l'altro tunisino che ha ucciso a coltellate due donne alla stazione di Marsiglia. Personaggi passati da Bologna, Foggia, Aprilia, ai quali si aggiungono altri jihadisti pronti a colpire, fermati a Milano, Genova, dove alcuni giorni fa la polizia ha bloccato un altro presunto terrorista che era pronto a colpire anche altre città d'Italia.

L'espulsione avviene laddove si registrino comportamenti da parte di quei soggetti, non tanto atti a far scaturire una vera e propria attività investigativa, quanto a denotare un profilo di pericolosità che non superi, però, la soglia dell'attività criminale. Insomma, la polizia, nel caso in cui venga a conoscenza, attraverso proprie informazioni o segnalazione da parte di servizi esteri, di vicinanza delle persone esaminate con realtà ritenute pericolose o che le stesse manifestino avversione verso il mondo occidentale, opera un attento lavoro di monitoraggio e qualora si arrivi a una conferma, il ministro dell'Interno firma il decreto di espulsione.

Naturalmente, l'identificazione certa della persona è necessaria. Ecco perché il maggior numero di rimpatri avviene in quei Paesi la cui collaborazione con l'Italia è maggiore. Tra questi proprio la Tunisia il Marocco.

Qualora chi mostra simpatia per il Jihad venga ritenuto

soggetto ben più che pericoloso, si avvia un'indagine, che può condurre l'Intelligence a scoprire veri e propri appartenenti a realtà legate al terrorismo internazionale. In quei casi non scatta l'espulsione, ma il carcere.

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