È il tempo delle riforme. Valerio de Gioia, magistrato al tribunale di Roma e autore di un compendio di procedura penale appena pubblicato da «La Tribuna», è ottimista: «C'è un clima diverso nel Paese. Forse, certe norme che prima venivano lette con la lente d'ingrandimento del sospetto, perché favorevoli a questo o quel personaggio, oggi vengono apprezzate per quel che sono: un passo in avanti».
È il caso della legge Pecorella, riproposta dopo 15 anni da Marta Cartabia?
«La Pecorella nasceva da un'intuizione di fondo: non ci può essere una condanna oltre ogni ragionevole dubbio se l'imputato in primo grado è stato assolto. Per questo vietava l'appello da parte del pm».
La legge fu attaccata da giudici, giornali e politici. Infine fu affossata dalla Consulta.
«L'ho detto: la cultura del sospetto ha bloccato l'impulso riformatore. Naturalmente, la Pecorella verrà rivista per tenere conto delle obiezioni della Consulta sulla parità fra accusa e difesa. Io credo che si possano valutare le diverse situazioni. Se un pm chiede l'assoluzione e il giudice assolve, allora game over».
Oggi non è così?
«No, oggi capita che la procura generale faccia appello. Come, a mio parere, non ha senso andare in appello quando la formula assolutoria è ampia. Di nuovo, game over».
Ok, ma ci saranno limiti e filtri anche per gli avvocati.
«Occorre trovare un punto di mediazione. Oggi si leggono ricorsi di tre righe senza alcuna motivazione. Questo sistema non può andare avanti, a maggior ragione con una macchina ingolfata».
Spesso l'appello capovolge o cambia in modo importante i verdetti di primo grado.
«È un punto che disorienta l'opinione pubblica, frastornata dall'altalena delle sentenze, ma che si spiega per via dell'impostazione di fondo del codice Rocco, scritto nel Fascismo. Il giudice era la voce dell'esecutivo, la forbice edittale era amplissima come il potere discrezionale della toga che per un furto poteva dare pochi mesi o molti anni. Questi meccanismi sono rimasti e tocca al legislatore correggerli».
La
prescrizione?«È sacrosanto riformarla. Oggi si può rimanere imputati a vita e questo è peggio di una condanna. Il condannato dopo tre anni può ottenere la riabilitazione, l'imputato non può fare nulla e questo è inaccettabile».
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