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Europa bloccata dai falchi. Tutto fermo sugli aiuti

Al vertice tra i ministri delle Finanze resta il veto dei Paesi del Nord: niente eurobond

Europa bloccata dai falchi. Tutto fermo sugli aiuti

Incapaci a decidere ieri, pronti a decidere domani. L'Eurogruppo delle spaccature fra Nord e Sud, in bilico sul crinale dell'implosione, dà un altro calcio al barattolo e si concede altre 48 ore di tempo per uscire dal vicolo cieco in cui si è infilato. Rimandare e rinviare è un esercizio cui i ministri delle Finanze ci hanno da sempre abituato, fin dai tempi della crisi greca. L'emergenza da coronavirus non tollera però gli Schaeuble di turno, abituati a rosolare a fuoco lento il nemico fino a ridurlo alla resa, ma impone scelte rapide, radicali e, soprattutto, condivise. Come un corpaccione sfilacciato e disunito alla meta possa trovare in una manciata di ore una quadra mai sfiorata in settimane di discussioni e negoziati, non è dato sapere.

Se mai ce ne fosse bisogno, la riunione di ieri ha rappresentato in modo plastico ciò che significa un dialogo fra sordi. Con il ministro olandese delle Finanze, Wopke Hoekstra, subito a gettare benzina sul fuoco ancora prima del fischio d'inizio del meeting: «No agli eurobond, sì al Mes con le condizionalità». Un perfetto, e forse voluto, rovesciamento dello slogan pronunciato lunedì sera dal premier italiano, Giuseppe Conte. L'Italia si è presentata all'appuntamento con l'appoggio di otto Paesi, più il sostegno rafforzato della Francia. Emmanuel Macron, per giorni impegnato in un sospetto gioco di equilibrismo, alla fine ha deciso di dare l'aut aut ai partner più intransigenti: o nel piano viene inserito un fondo europeo di solidarietà da circa 1.500 miliardi, oppure non verrà dato l'ok al pacchetto globale. È grossomodo la stessa linea concordata fra Conte e il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, tesa a togliere dal tavolo l'utilizzo del fondo salva-Stati, anche nella supposta modalità light. Che, comunque, non cancellerebbe del tutto i vincoli di bilancio cui sarebbe assoggettato il Paese che beneficia delle sue risorse, pari complessivamente a 240 miliardi di euro. Soprattutto se le linee di credito dovessero essere quelle Eccl, che prevedono la firma di un memorandum d'intesa e la successiva sorveglianza del Mes e della Commissione europea. Forse, come paventa qualcuno, anche del Fondo monetario internazionale. Una Troika, insomma.

Inevitabile, quindi, l'incaglio. Il rinvio a domani difficilmente cambierà la situazione. Anche perché il lavoro preparatorio degli sherpa dei ministri è saldamente incardinato su tre pilastri, ma manca totalmente quella che per molti Paesi dovrebbe essere l'architrave dell'intero progetto: l'emissione di bond. Se ieri, a tal proposito, è mancato un pronunciamento da parte di Angela Merkel, all'improvviso è rispuntato l'ex custode del Tesoro tedesco, Wolfgang Schaeuble, nella veste di presidente del Bundestag, giusto per ricordare che gli «eurobond sono contrari alla nostra Costituzione». Del resto, anche Olaf Scholz, titolare del mistero dell'Economia, era stato chiaro. Con il Mes «vogliamo rendere il 2% del prodotto nazionale accessibile agli Stati membri che ne hanno bisogno». Gli altri due «strumenti di solidarietà» sul tavolo sono le garanzie della Banca europea per gli investimenti (dotazione, fino a 200 miliardi) e il piano anti-disoccupazione Sure (100 miliardi). Di obbligazioni in comune, non c'è traccia. Se, come appare probabile, anche il vertice di domani si risolverà in una fumata nera, la palla tornerà nel campo dei capi di Stato e di governo che torneranno a incrociarsi in tele-conferenza dopo Pasqua.

Se sarà resurrezione dell'Europa, o una prosecuzione della via Crucis, lo sapremo presto.

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