
Ognuno, alla fine, colleziona quello che vuole. Chi fumetti, chi pietre, chi Barbie, chi amanti, chi brutte figure. Bartolini Enrico da Pescia, ovvero di quella Toscana che guarda all'Appennino, preferisce le stelle, diciamo che il suo cielo è una manna per astrofili.
Bartolini Enrico da Pescia di anni quarantacinque, ha un talento di quelli che non ruba l'occhio, più Pirlo che Neymar, più Le Corbusier che Gehry, più Bergman che Almodóvar. Ma la sua precisione, la sua capacità di fare del ristorante un luogo accogliente in ogni suo aspetto, la sua etica del lavoro, la sua ambizione così poco italiana ne fanno un caso unico nel panorama gastronomico nazionale, colui che interpreta la mentorship - faccenda che in fondo nemmeno lo riguarderebbe da un punto di vista anagrafico - in maniera attiva. Ha messo molti dei suoi ragazzi alla guida dei vari ristoranti che ha in gestione in tutta Italia, ognuno al posto giusto, e da qui arriva la vagonata di stelle da sei regioni.
La locomotiva è naturalmente Enrico Bartolini Mudec, in via Tortona, a Milano. Ora, qui la questione è seria. Questo locale modernista in cima a un museo contemporaneo, nel novembre del 2019 ha fatto ritornare con squilli di tromba e rulli di grancassa le tre stelle a Milano, la capitale di quasi tutto che però nella gastronomia pareva condannata a guardare i giargiana di provincia vincere gli scudetti. L'ultima volta era successo 27 anni prima, con Gualtiero Marchesi, premiato con il massimo riconoscimento della guida rossa per l'ultima volta nell'edizione 1993. Poi il capriccioso maestro già all'inizio del suo autunno creativo decise di lasciare Milano per Erbusco, in Franciacorta, e le stelle divennero due, poi lui rifiutò anche quelle e insomma un gran pasticcio, fatto sta che Milano restò a secco, l'anno dopo non c'era nemmeno un ristorante con il doppio "macaron". Questo per dare il senso dell'impresa del taciturno toscano.
Già, perché questo va detto di Bartolini, l'espansività non è il suo punto forte, Cannavacciuolo non lo sarà mai, ha l'aria di quello che non sa mai dove mettersi, le interviste con lui sono spesso faticose, risponde a monosillabi, anzi negli ultimi tempi si è un po' sciolto, forse grazie a quel po' di televisione che ha fatto con Alessandro Borghese e alla moglie Roberta Morise, sposata meno di un anno fa, ciò che lo ha messo al centro delle attenzioni dei paparazzi e dei giornali rosa. Cosa tocca fare, alle volte.
L'elenco dei locali targati Bartolini e delle rispettive onorificenze lo trovate nella scheda qui sotto. Qui vi basti sapere che tra i Bartolini Boys militano autentici fuoriclasse come Donato Ascani, un ciociaro con il piglio del fantasista, Marco Galtarossa, Gabriele Boffa e io ci metto anche quell'Alberto Quadrio che una stella (per ora) ancora non l'ha ma che guida la cucina dell'Aurum all'Albereta in Franciacorta, proprio il posto in cui Marchesi trovò rifugio tre decenni e passa fa in fuga quasi da sé stesso. Quadrio pochi anni fa turbò Milano con la sua pasta in bianco in versione patinata, una vera cenerentola invitata a corte, che divise la città tra chi l'aveva mangiata e l'adorava e chi non l'aveva mangiata e quindi ne criticava il prezzo. In questo mondo va così, rassegniamoci.
Nel frattempo Bartolini Enrico da Pescia va avanti per la sua strada, senza specchietto retrovisore. Il suo è un passo non da velocista ma da mezzofondista. Inizia all'istituto alberghiero di Montecatini Terme (dove tornerà in ottobre per curare una cena del festival Food&Book e chissà se perfino uno come lui s'asciugherà una furtiva lacrima), poi un po' di giri per l'Europa che conta, il ritorno in Italia alla corte degli Alajmo alle Calandre di Rubano, il primo ristorante da titolare fosso in Oltrepò Pavese (Le Robinie), la prima stella, poi lo sbarco in Brianza al Devero di Cavenago quell'albergo che chiunque percorra la A4 non può non aver notato per la torre cilindrica imbandierata, francamente molto brutta. Anche qui stella e doppia stella. Poi nel 2016 sbarca finalmente a Milano e ne cambia la storia gastronomica.
Il ristorante al Mudec, alla fine devo parlare di questo, è un luogo luminoso ed elegante, con una certa aria da museo contemporaneo che fa scopa con l'esprit du lieu. È il luogo dove più spesso è possibile incontrare Bartolini nel suo girovagare per le sue tante strutture (ne ha anche a Dubai, a Hong Kong, a Bali), anche se da qualche tempo sulla cucina c'è il nome di Davide Boglioli da Bra, terra di salsicce, e quindi piemontese del Roero. Il passaggio di consegne è stato indolore, la cucina di Boglioli è ritagliata come un cartamodello sulla filosofia del maestro: leggerezza, eleganza, tecnica da laser, ma anche un pizzico di istinto. Due menu: il primo, Best Of, ripercorre i momenti salienti dei primi nove anni dell'insegna (cinque portate principali, 300 euro); il secondo, Mudec Experience fotografa lo stato dell'arte del pensiero gastronomico di Bartolini e Boglioli (sette portate principali, 375 euro).
Io personalmente posso dire che gli Spaghetti freddi, mantecati al tavolo con un tocco di gigioneria da parte della sala, verdi di prezzemolo e con crema e olio a base di aglio orsino, alici marinate, semi di mostarda e caviale Calvisius (quindi bresciano, un'eccellenza assoluta), sono nutrimento per gli occhi e per l'anima (oltre che per lo stomaco, ça va sans dire. Che il Carciofo spinoso di Albenga, con una fettina sottilissima di suino bianco arrotolata sul gambo, è un prodigio di equilibrismo. E che l'Agnello delle Dolomiti lucane cotto nel burro e nel fieno, con funghi spugnole e crema di pecorino è un pezzo di bravura.
Che le abbia scritte Bartolini o Boglioli, queste hit, alla fine poco importa. Conta la factory, la bottega, il pensiero che si fa manifesto, il passo che si fa movimento, il giovane che si fa grande. È questo Bartolini. Diventasse anche simpatico, beh, sarebbe perfino troppo.