Manette e titoloni sui giornali. Sembrava uno scandalo, ancora più grave perché i soldi dello Stato sarebbero spariti nel grande cratere del terremoto che aveva devastato L'Aquila. Ma non era vero: la truffa non c'era e non c'era nessun altro reato. Peccato ci siano voluti otto anni per diradare il polverone e fare giustizia. Era il 2011 quando Gianfranco Cavaliere, un politico dell'allora Pdl molto noto in città, fu arrestato insieme al funzionario di Palazzo Chigi Luigi Traversi, con l'accusa di essersi appropriato dei fondi messi a disposizione dalla presidenza del Consiglio attraverso il sottosegretario Carlo Giovanardi. «Io - racconta Giovanardi - avevo subito detto che non c'era niente di irregolare, anzi Cavaliere si era dato da fare per attivare progetti nel sociale utilizzando quei 12 milioni che il Dipartimento per la famiglia da me guidato aveva deciso di spendere per opere nel sociale».
Niente da fare. Otto anni dopo ecco finalmente l'assoluzione con formula piena per Cavaliere, ma il verdetto arriva troppo tardi per l'altro imputato: Traversi è morto prima di essere riabilitato, come spesso è accaduto in questo Paese. Terra di malaffare, ma anche di processi che si stenta a comprendere nella loro genesi.
«Nel 2011 - ricorda Giovanardi - due anni dopo il terribile sisma, avevo trovato quei fondi da impiegare per asili, scuole, strutture per gli anziani. Il Comune amministrato dal centrosinistra era paralizzato, inerte. Cavaliere si era mosso costituendo una fondazione e avviando un progetto. Ma non fece in tempo a realizzarlo, perché fu arrestato quasi subito. Per i giudici aveva il peccato originale di essere un politico, oltretutto vicino alle mie posizioni, quindi cercava un tornaconto personale indipendentemente dalla consistenza del suo impegno che non si poteva mettere in dubbio. A mio parere era solo un teorema giudiziario, non c'erano non dico i presupposti per gli arresti, ma nemmeno per iniziare l'indagine».
Invece la storia aveva riempito i quotidiani che avevano descritto una presunta cricca affaristica insediatasi sull'orlo del cratere e dedita a traffici sul filo dell'illegalità. Una cricca che lambiva pure lo stesso Giovanardi, sulla carta il presunto truffato di questa vicenda, e arrivava fino alla curia aquilana: per una fuga di notizie era stato messo sotto inchiesta pure il vescovo ausiliare della città Giovanni D'Ercole, poi puntualmente prosciolto da ogni contestazione.
Insomma, un intrigo da romanzo di cui poi si erano perse le tracce, nel solito, lento metronomo della giustizia italiana. «Non ho saputo più nulla per anni - prosegue Giovanardi - poi a dicembre scorso finalmente mi hanno sentito come teste nel dibattimento». In un processo in cui si sommavano molti capi d'imputazione: dal falso alla tentata truffa, dalla tentata estorsione al millantato credito. Qualcosa però aveva convinto anche il pm d'aula, ovviamente non lo stesso che aveva avviato l'inchiesta nel 2011, ad innestare la retromarcia, proponendo l'assoluzione per alcuni reati e arrendendosi alla prescrizione per gli altri. Ora l'assoluzione con formula piena chiude una storia andata avanti troppo a lungo.
«Sono rimasto 23 giorni ai domiciliari - spiega Cavaliere - e oltre due mesi confinato in una frazione dell'Aquila con tanto di obbligo di dimora, la vita sottosopra e la mia attività di medico in un buco nero. Poi è cominciata la fase interminabile e sfibrante del processo. Anni di pregiudizi, di voci, di solitudine. Ora è tutto finito, ma è stata un'esperienza durissima». E una brutta pagina della cronaca giudiziaria.
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