
Fine vita, eutanasia, suicidio assistito, cure palliative o sedazione profonda: per milioni di italiani il problema non è la definizione corretta, ma solo impedire delle sofferenze inutili alle persone care. Il problema della definizione o dei «principi» è un problema della classe politica, che presto o tardi sarà costretta a fotografare l'esistente e quindi a definire, ammettere, legalizzare, inquadrare, delimitare, non ultimo finanziare ciò che in Italia, tipicamente, si fa ma non si dice. Possiamo essere tecnici, discernere tra l'eutanasia che è la somministrazione di un farmaco letale, il suicidio assistito che è la stessa cosa ma col paziente che se lo somministra da solo, le cure palliative che sono dei trattamenti per alleviare il dolore, ma che, in pratica, si traducono spesso nella sedazione profonda, intesa come uso di farmaci che inducono a incoscienza sinché morte sopraggiunga.
Il fine vita è questo, e darne una precisa definizione non fa una grande differenza al capezzale di un morente. Sappiamo, tutti, che è una pratica segretamente esercitata da migliaia di medici di ogni estrazione culturale: si potrebbero riportare gli studi di Civiltà Cattolica, Sanità Informazione, Eurispes, Lancet, Swg, Fnomceo, Istat, ovviamente Associazione Luca Coscioni. Si cita sempre quest'ultima, ma è dalla bellezza di sei anni che la Corte Costituzionale invita il Parlamento a legiferare: intanto sono passati il governo Conte uno, il governo Conte due, il governo Draghi, infine il governo Meloni che finalmente ne sta per discutere, o così pare. La speranza è che comprenda che in ballo non ci sono solo dei principi, ma il miglioramento della vita e della morte di milioni di italiani: perché in Italia, su certi temi, si discute spesso di principi, ma poi non si fanno le leggi, mentre all'estero, viceversa, si guarda più alla vita reale e si fanno delle leggi che cercano di regolarsi alla meno peggio, senza pretendere di rispondere ai grandi quesiti della vita. Poi sappiamo che l'Italia è l'Italia. Ma questo non giustifica un'eterna omertà legislativa. Hanno legiferato anche Spagna e Portogallo, che non hanno una cultura poi così diversa dalla nostra. Anche il più semplice buon senso, e non soltanto la nostra Corte Costituzionale, rifiuta che una sterminata quantità di cittadini e medici e personale sanitario, ogni giorno, continui a provvedere da solo.
Detto in termini più brutali: negli ospedali italiani e a mezzo di cure palliative (con una disparità di accesso, pratico e culturale, più ingiusta che mai) si compiono ogni giorno dei reati, e questo proprio per la mancanza di una cornice giuridica.
L'eutanasia è illegale, e può configurare un omicidio del consenziente (articolo 579 c.p.) o in alcuni casi un omicidio volontario; la sedazione profonda può essere applicata correttamente (legge 219/2017, quella sulle disposizioni anticipate di trattamento) ma può accorciare la vita, tantopiù se vengono sospese la nutrizione e l'idratazione artificiali (caso Eluana Englaro) e, insomma, un atto palliativo può corrispondere a un'eutanasia passiva. Lo stesso si può ottenere da dosi elevate di morfina, benzodiazepine, barbiturici, come quando nei film cercano il suicidio ingerendone un'intera scatola; il medico può dire che era una terapia del dolore anche se l'intento era terminale: non servono per forza «iniezioni letali» o roba del genere. Anche sospendere o non iniziare dei trattamenti salvavita può corrispondere a un'eutanasia passiva: come non avviare ventilazioni meccaniche, non dare antibiotici, sospendere una dialisi.
Non servono cocktail di farmaci malefici: bastano dei farmaci normali ma inopportuni per un paziente terminale, come solo un'autopsia potrebbe rivelare.
Alcuni medici, anche credenti, cattolici, coscienziosi o più semplicemente medici a tutto tondo (che hanno ascoltato il paziente, i loro cari e la propria sensibilità) si muovono a tutt'oggi in un'area grigia dove ufficialmente si forniscono cure palliative ma di fatto si accelera la morte. Se vogliamo lasciare tutto questo nel caos, nel disordine dell'italica arte di arrangiarsi, possiamo farlo. Se, invece, vogliamo fare una legge degna di un Paese civile, questo governo, l'occasione storica, ce l'ha.