
Il secondo tempo (dopo il Senato) del Meloni time scivola via in un'ora tra fantasmi, kefiah e fiorai di Turianova. Il Pd (in piedi) che si spella le mani durante l'intervento del capogruppo renziano Maria Elena Boschi è forse la vera sorpresa del dibattito nell'Aula di Montecitorio. Di cosa parlava lady Boschi? Dei suoi tour nei mercati rionali alla ricerca della sofferenza delle famiglie. La sinistra si commuove e regala la standing ovation alla renziana.
Il primato spetta a Riccardo Magi che si fa espellere, pur senza intervenire, dal presidente della Camera Lorenzo Fontana. Il parlamentare di Più Europa si traveste da fantasma. Poi tirato fuori dai commessi si intuisce il motivo della protesta: i referendum. Nessuno l'aveva capito. Magi denuncia la poca attenzione che i media stanno riservando alla consultazione del prossimo 8 e 9 giugno. Piccola parentesi. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni arriva puntuale, alle 16 in punto, per rispondere alle interrogazioni dei deputati. C'è una pattuglia di ministri, da Francesco Lollobrigida al titolare dell'Economia Giancarlo Giorgetti. Ma dei due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, non c'è traccia.
I temi non riservano grandi novità. Ricalcano quelli della settimana scorsa a Palazzo Madama: Gaza, liste d'attesa, piano di riarmo Ue, riforme, nucleare. Meloni risponde senza rinunciare al pizzico di ironia. Per tutto il confronto Meloni non cade nelle trappole delle opposizioni. Il Ms5 chiede un minuto di raccoglimento per le vittime di Gaza. «Lei rimane seduta?», incalza Conte alla Meloni che, anche qui, lascia cadere, mentre dai banchi dei 5 stelle si alza il grido «vergogna!». Il tema Medio Oriente è il piatto principale del Meloni time. Tant'è che il deputato di Avs Marco Grimaldi si è presentato tra i banchi avvolto nella kefiah. L'ora di confronto si apre con il giovanissimo deputato Fdi Fabio Roscani che richiama il governo sul tema del disagio giovanile. Meloni promette l'istituzione di un gruppo di studio a Palazzo Chigi sul fenomeno.
Si chiude con il botta e risposta tra Meloni e Schlein sui fiorai di Turianova. Per la maggioranza intervengono Maurizio Lupi, Riccardo Molinari e Paolo Barelli. Il capogruppo leghista sollecita la premier su un tema caro al Carroccio: le tutele per gli agenti di polizia. Poi tocca a Matteo Richetti di Azione che conferma la marcia di avvicinamento al centrodestra. La richiesta al governo è di rompere gli indugi e investire nel nucleare.
Il capogruppo di Forza Italia Paolo Barelli si sofferma sul green deal, sottolineando l'impegno del governo Meloni in Europa a superare le folli regole imposte dall'Unione europea. Lupi parla di sanità e rivendica i risultati dell'esecutivo. E poi lancia una proposta: «Proprio perché crediamo nella cultura della responsabilità e in un modo diverso di fare politica, riteniamo che il governo, in assenza di un calo delle liste d'attesa, abbia il dovere di intervenire ricorrendo dove necessario all'esercizio del potere sostitutivo» dice l'esponente di Noi Moderati.
Nel finale il clima si accende di colpo. Tutto già scritto nella scaletta con il botta e risposta tra Meloni e Schlein. La segretaria del Pd si affida ai fiorai di Turianova per incalzare la premier su sanità e liste d'attesa. Meloni alza il tono della replica, parla di «propaganda» (tra i buuuu dei deputati del Pd) e di «macumbe».
Ma è la segretaria del Pd che riesce a impedire il «percorso netto» alla premier, fino a quel momento controllatissima di fronte agli strali dei leader di opposizione: quando Elly accusa il governo dei tagli alla Sanità, Giorgia non si tiene: abbandona il contegno «britannico» mantenuto fino a quel momento e, ad ampi gesti, agitando l'indice, esclama: «Non è vero. Non è vero, è una bugia!». Lo scontro è sui numeri dei fondi al comparto Sanità. Chi li ha aumentati? Chi li ha tagliati? Cala il sipario. La premier rientra a Palazzo Chigi di corsa.
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