"Fateci processare i ministri". Dalla Procura gli atti alla Camera

La richiesta è stata consegnata al presidente Fontana e trasmessa alla giunta. Il giallo su Mantovano: voleva essere interrogato ma non gli è stato concesso

"Fateci processare i ministri". Dalla Procura gli atti alla Camera
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La richiesta di autorizzazione a procedere contro i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi viene notificata ieri dalla Procura della Repubblica di Roma al presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana, che l'ha trasmessa alla Giunta per le autorizzazioni a procedere. Ai due ministri e al sottosegretario Alfredo Mantovano vengono contestati i reati di peculato, favoreggiamento e omissione. È l'atto finale dell'inchiesta che punta a incriminare i massimi vertici del governo di centrodestra per la riconsegna alla Libia, anziché alla Corte penale dell'Aja, del generale libico Osama Almasri, nel gennaio di quest'anno. Una scelta di cui Giorgia Meloni, scagionata dal tribunale dei ministri, si è assunta per intero la responsabilità

"Non mettiamo il segreto di Stato". È stata la premier, dal primo momento in cui il caso Almasri ha iniziato a prendere forma, fino a diventare giorno dopo giorno una colossale grana per il governo, a indicare la linea da cui non intendeva discostarsi: e che altri ministri ritenevano un azzardo. Davanti all'imbarazzo internazionale per la riconsegna alla Libia del generale, ricercato dalla Corte penale dell'Aja per crimini contro l'umanità, la premier ha deciso dall'inizio che l'unico comportamento dignitoso per il governo era prendersi la responsabilità per intero delle scelte compiute, senza nascondersi dietro il segreto o scaricando il barile sulla burocrazia ministeriale.

La conferma di questa scelta, l'assunzione piena della responsabilità, arriva lunedì sera, quando la Meloni divulga il decreto di archiviazione del procedimento nei suoi confronti, spiegando che per i suoi collaboratori Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano si preparava invece la richiesta di autorizzazione a procedere: ma rivendica di avere partecipato ad ogni loro decisione, e si autoaccusa dei reati che dovessero venire loro contestati. Ma prima ancora che la decisione del tribunale dei ministri venisse resa nota, il capo del governo ha compiuto una scelta ancora più rilevante: ha ordinato al capo dei servizi segreti interni, Gianni Caravelli, di rispondere alle domande del tribunale dei ministri. Caravelli aveva davanti a sè una strada semplice, quando è stato convocato dai magistrati: opporre il segreto di Stato su una vicenda che, comunque la si guardi, è direttamente collegata alle esigenze di politica estera del Paese. Se lo avesse fatto, il tribunale avrebbe dovuto chiedere conferma alla Meloni - unica autorizzata a rispondere - dell'esistenza del segreto. Invece Caravelli ha scelto di rispondere. Una decisione che il direttore dell'Aise può avere preso solo su indicazione del capo del governo e del suo delegato all'intelligence, il sottosegretario Alfredo Mantovano.

Del ruolo di Mantovano nella gestione del caso Almasri, Caravelli ha parlato con una certa ampiezza ai magistrati. Dalle conversazioni con Mantovano, Caravelli trae la convinzione che la Meloni "fosse d'accordo" con la decisione di rispedire Almasri in Libia, e la riferisce ai giudici romani, ma non ha notizia di un suo coinvolgimento diretto (ed è per questo che per la premier i giudici non chiedono il processo). Nella ricostruzione del governo, è Mantovano ad operare concretamente. Ed è per questo che Giulia Bongiorno, che assiste la Meloni e ai suoi ministri, nelle settimane scorse offre al tribunale di interrogare Mantovano. "Era stato lui a seguire le varie fasi della vicenda", spiega la Bongiorno. Ma il tribunale declina l'offerta, chiede di interrogare il ministro della Giustizia Carlo Nordio che invece non è disponibile.

La spiegazione è semplice. Il governo si convince che il vero obiettivo del tribunale dei ministri di Roma è incastrare Nordio, che ha la colpa di avere fin dall'inizio indicato i veri colpevoli della mancata consegna proprio nei giudici romani che si occuparono in gennaio del caso. La linea del governo è opposta: né Nordio né Piantedosi hanno avuto un ruolo concreto, a gestire tutto è stato Mantovano, che infatti si dichiara pronto a fornire spiegazioni. Ma per il tribunale ascoltare Mantovano vuol dire perdere di vista Nordio. A quel punto i giudici decidono: proscioglimento per la Meloni, impeachment per gli altri.

Ora le carte sono arrivate alla presidenza della Camera, che è competente a decidere perché Nordio è deputato, mentre Piantedosi non lo è.

Mantovano non è ministro, ma anche la sua posizione verrà collegata (come pure quella di altri eventuali indagati) alla decisione che Montecitorio prenderà per Nordio e Piantedosi: se non verranno processati loro, non potranno esserlo neanche gli altri accusati.

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