Ma voi rimarreste seduti insieme a chi vi definisce «un pirla»? In politica la pazienza è un'arte ma a volte anche un po' da «fessi». Matteo Salvini, dai suoi alleati, ha accettato entrambi. Sia «pirla» che «fesso». E forse è sempre meglio di «carogna», un'offesa che non gli è stata rivolta dai centri sociali, ma dall'alleato Beppe Grillo che apre ogni spettacolo continuando a riproporre il numero sulla madre del leader leghista: «Perché quel giorno non ha preso la pillola?». E dunque è forse arrivato il momento di chiedersi: è possibile competere nell'insulto con un partito che è nato con il vaffanculo come parola d'ordine? Anziché «tappare la bocca», come ha chiesto Salvini di fare al M5s, il potere e il governo non potevano fare altro che spalancargliela.
C'è tutto un catalogo di oltraggi e di schiaffi che ministri e parlamentari del M5s da undici mesi indirizzano ai loro compagni e agli elettori della Lega e il dramma, a dire il vero, è che in questo «insultario» non c'è neppure l'arguzia e la sottigliezza, ma solo la banalità e la parolaccia. Nel turpiloquio si è finora distinto Alessandro Di Battista che ha consigliato a Salvini di «non rompere i coglioni, altrimenti torni da Berlusconi». E solo la responsabilità e il ruolo hanno frenato Luigi Di Maio che sulla Tav ha dato a Salvini semplicemente dell'irresponsabile. Mesi prima, quando ha insinuato che la Lega, avesse manomesso il decreto fiscale e che ci fosse la sua «manina», aveva liquidato Salvini con «fesso». Quando si è litigato sui porti chiusi e sui migranti, a esprimersi è stata invece la deputata Elena Fattori che su Facebook si è liberata così: «Salvini, fai il pirla con 49 disperati».
Per un momento si era creduto che la nomina a vicepresidente del Senato avesse raffreddato le fiamme di Paola Taverna che si era limitata a dare a Salvini dell'accattone: «Cominci a lavorare invece di twittare. I nostri risultati si vedono mentre i suoi solo con il binocolo». In questi giorni si è ritrovata e ha imputato a Salvini la responsabilità di non vigilare su Casa Pound che è «un pericolo per l'umanità. Fanno quello che vogliono. Siamo stufi». E per Stefano Patuanelli la colpa ce l'ha un po' Salvini che strizza l'occhio con la simbologia del Ventennio dato che a Forlì è salito sul balcone: «Gesto deprecabile» ha detto al Corriere. E però, il paragone più spregiudicato si deve al deputato Giorgio Trizzino che ha avvicinato Salvini a Benito Mussolini. Riverniciata dal M5s, la bandiera della Lega è passata da verde a nera, anzi, nerissima. In occasione del 25 aprile, Di Maio ha rimproverato a Salvini di allearsi in Europa con partiti senza memoria e di essere quindi «un negazionista». A Verona, in occasione del Congresso Mondiale della famiglia, tutta la Lega è stata descritta come una società tribale e antiabortista. Per Di Maio i partecipanti, e quindi i leghisti, «sono fanatici e medievali», «sfigati»; mentre per Giulia Grillo che è ministro della Salute, «bisogna chiamare le cose con il proprio nome. Estremisti». Nelle insolenze si era misurato pure Giuseppe Conte che a Salvini aveva dato dell'incompetente per via di alcune deleghe contese fra il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana e il sottosegretario Vincenzo Spadafora: «Salvini deve studiare di più. Le deleghe sono di Fontana». In ulteriori incursioni, ancora Di Battista, ha chiamato i leghisti «ladri» e «trombati» e minacciato: «Restituiteci il denaro».
Si è arrivati così al post pubblicato due giorni fa sul blog del M5s che più che un comunicato politico appare uno sgorbio impresso in una latrina pubblica: «La Lega non cambi sempre discorso, tiri fuori le palle e faccia dimettere Siri». E si sa che, in questi casi, invocarle nasconde sempre l'impotenza. Rimarreste ancora seduti al loro tavolo?
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