Pur proveniente da una giurista - il pg della Cassazione, Francesca Ceriani - era chiaro che la sua tesi fosse opinabile: «I bambini non devono crescere nella miglior famiglia possibile ma nella loro famiglia. I figli non si tolgono nemmeno ai mafiosi, perché ogni bambino ha diritto a crescere nella famiglia dove è nato».
E infatti ieri il teorema-Ceriani è stato smontato dalla prima sezione della Suprema corte che ha sancito l'adottabilità del figlio di Alex Boettcher e Martina Levato, tristemente noti come la «coppia dell'acido», rigettando l'appello perché il bimbo rimanesse a loro (entrambi attualmente detenuti) o affidato ai nonni materni. Il piccolo nacque quando la madre era già in carcere. Lo scorso 30 novembre era stato chiesto che il bambino venisse affidato ai genitori della Levato, dopo che una sentenza di primo grado aveva già stabilito che invece il neonato poteva essere adottato. In questa fase si era però inserita la Pg Ceriani asserendo che «anche se Boettcher e Levato sono responsabili di crimini raccapriccianti, dare in adozione il loro figlio equivarrebbe a una non consentita operazione di genetica familiare, come se il piccolo fosse nato con una macchia». Tradotto dal giuridichese: non è giusto che le colpe dei genitori ricadano su un bambino.
«Colpe» - quelle di mamma Martina e papà Alex - di una gravità estrema, con responsabilità e ruoli ben definiti dai giudici. Fu Boettcher (condannato a 14 anni lo scorso 21 dicembre) il «vero architetto» delle aggressione del 2014 a colpi di acido che sfregiarono per sempre, in un delirio di criminale onnipotenza, i volti e le esistenze di due giovani innocenti: Stefano Savi e Pietro Barbini.
Le aggressioni vere e proprie furono invece messe a segno dalla Levato «attraverso il concordato lancio dell'acido con Boettcher» come recita il verdetto della Corte di appello che le ha comminato 20 anni di carcere.
Parallelamente alla vicenda giudiziaria dell'acido, si è sviluppato nei mesi successivi alla nascita del figlio di Martina e Alex una complessa disputa sulle sorti del bimbo.
Disputa giunta ora a uno snodo decisivo: il bimbo, che ora ha due anni, potrà - anzi, dovrà - essere adottato da una famiglia estranea al circuito Levato-Boettcher.
Tutti d'accordo quindi? Macché. L'avvocato della Levato ha già annunciato un ricorso alla Corte europea dei diritti umani.
I legali di Martina sostengono infatti che la Levato «avrà la possibilità di scontare la pena all'Icam (Istituto a custodia attenuata per le madri) fino ai sei anni del figlioletto e poi di chiedere i domiciliari». E poi: «Martina ha riconosciuto le sue responsabilità e ha svolto un percorso che lo stesso psichiatra del carcere ha definito di rivolgimento di sé, di cambiamento». Conclusione: «Il figlio, in futuro, potrebbe essere cresciuto ed educato dalla vera mamma».
E tornano al contrattacco anche i nonni materni: «La legge contempla l'affidamento quando ci sono rapporti significativi e noi, con nostro nipote, abbiamo avuto ben 46 incontri, senza mancare mai ad un appuntamento».
«Incontri» e «appuntamenti» che, secondo l'ultimo pronunciamento della Cassazione, hanno rappresentato degli «errori».
La battaglia continua. Più acida che mai.
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