Fincantieri bersaglio dei giudici. Va reintegrato operaio "omicida"

Squinzi battezza la riapertura di Monfalcone: "Storia aberrante, specchio di cultura anti-impresa". E l'azienda denuncia il paradosso giustizia: le toghe ci impongono di riprendere un condannato

Fincantieri bersaglio dei giudici. Va reintegrato operaio "omicida"

Più che una manina, ormai è «una manona». A Giorgio Squinzi è bastata una visita lampo e un'occhiata alle aree sequestrate dalla magistratura nello stabilimento di Fincantieri a Monfalcone per capire che quello che è successo è «aberrante, un'espressione perversa della cultura anti-impresa».

Ieri mattina il numero uno di Confindustria ha battezzato il riavvio della produzione e il ritorno al lavoro di quasi 5mila operai dopo una settimana di stop produttivo imposto dal tribunale come «una giornata felice per il Paese». Acqua passata? Mica tanto. Mentre l'ad, Giuseppe Bono, avverte che «prima di tutto viene il lavoro» e che «potranno farcene di tutti i colori, ma non ci fermeremo», ai microfoni confida l'ennesimo «paradosso all'italiana» piombato sul gruppo. Non solo l'imbuto burocratico, la raffica di ispezioni - una ogni tre giorni di media negli ultimi due anni e mezzo nel cantiere di Panzano - e gli avvisi di garanzia. Ora «ci tocca anche ridare il posto a un operaio condannato per omicidio». La magistratura, infatti, ha ordinato a Fincantieri il reintegro di un dipendente sospeso dopo essere stato ritenuto colpevole in primo grado per l'omicidio di un uomo durante una lite avvenuta nel 2012. Nel dicembre scorso il gip di Trieste lo ha condannato a sei anni e otto mesi di reclusione, ma la Procura in appello ha chiesto l'aggravamento della pena. E mentre il processo va per le lunghe, il tribunale, secondo l'azienda «in maniera assolutamente inaspettata ma soprattutto controcorrente rispetto a numerosi precedenti analoghi», ha disposto l'immediata riammissione in servizio del lavoratore. D'altronde «questa è l'Italia» allarga le braccia Squinzi. Che se sulla ripartenza di Fincantieri è fiducioso, sull'Ilva lo è «un po' meno».

Intanto il decreto urgente varato dal consiglio dei ministri per scongiurare la chiusura degli stabilimenti di Monfalcone e dell'Ilva di Taranto, andrà all'esame della Camera il 27 luglio, e dovrà essere approvato entro il 2 settembre, mentre la capogruppo cinque stelle Francesca Businarolo, grida al «diluvio di decreti, sono almeno sei - dice - siamo ai limiti della costituzionalità. Speriamo che il governo non ne faccia una marmellata».

D'altra parte dà atto al governo, Squinzi, di essere intervenuto in Fincantieri con una «rapidità inconsueta». Peccato che manchi dello stesso sprint nel «mettere mano alle riforme necessarie al Paese per tornare a essere competitivo» e per recuperare un ritardo reso «drammatico» da «un sindacato che non si è reso conto della velocità di evoluzione dell'economia mondiale, e che ha bisogno di uno choc». La realtà è nei numeri. La crescita dello 0,3% nel primo trimestre è «positiva ma non sufficiente». Il segno “più” non inganni, ammonisce Squinzi. «È fragilissima», risultato dell'incrocio astrale di circostanze favorevoli date dal rapporto tra euro e dollaro, dal quantitive easing di Draghi, dal calo del prezzo del petrolio. Ma la verità è che sul tavolo del Mise ci sono 250 tavoli di crisi aziendali, e dietro l'angolo c'è il baratro che ha il volto del Grexit e di «un'Eurozona che è l'unica a non crescere nel mondo». Bono assicura che nonostante tutto, «noi non ce ne andremo».

Ma chissà se il fattaccio di Monfalcone non spinga Fincantieri a premere sull'acceleratore verso una stretta finale alle trattative per la possibile acquisizione di Stx France, la società che porta in dote il grande cantiere di Saint Nazaire, in Francia. Uno dei più grandi bacini europei. Un'ulteriore garanzia da sventolare agli armatori, sempre più preoccupati delle vicende italiane.

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