"Finire Hamas", "Basta guerra". Tel Aviv-Usa: le strategie opposte

I ministri oltranzisti spingono il premier a distruggere il gruppo. Trump per la tregua

"Finire Hamas", "Basta guerra". Tel Aviv-Usa: le strategie opposte
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Alleati a parole, divisi nei fatti. La missione israeliana dell'inviato Usa Steve Witkoff invece di rimarginare le ferite le ha allargate. Per quanto Witkoff ripeta che a Gaza "non c'è fame", la fretta con cui Donald Trump annuncia nuovi piani per la distribuzione del cibo fa capire quanto le immagini provenienti dalla Striscia irritino la Casa Bianca. Anche perché il progetto di mettere da parte l'Onu e trasferire la distribuzione del cibo alla "Gaza Humanitarian Foundation" porta la firma statunitense.

Ma le divisioni non si fermano qui. Mentre l'opinione pubblica israeliana fa i conti con le condizioni strazianti di David Evyatar, un terzo ostaggio tutto pelle ed ossa le cui immagini sono state diffuse ieri da Hamas, Usa e Israele faticano a trovare un'intesa. Anche l'apparente intesa sulla necessità di mettere fine ai cosiddetti "accordi parziali" e costringere Hamas a negoziare la liberazione in un colpo solo di tutti i prigionieri nasconde molte divergenze. La prima riguarda l'obbiettivo immediatamente successivo. "Il piano non è quello di espandere la guerra, ma di porvi fine" sottolinea l'inviato Usa incontrando a Tel Aviv le famiglie degli ostaggi e spiegando cosa debba avvenire subito dopo il ritorno a casa dei loro cari.

Il programma non sembra trovare d'accordo Benjamin Netanyahu e il suo governo. Per gli esponenti più oltranzisti dell'esecutivo la fine degli accordi parziali è l'occasione per puntare a un'operazione militare che non tenga più conto dell'immunità dei prigionieri israeliani e punti esclusivamente a distruggere il nemico. Un punto di vista espresso anche pubblicamente da ministri come Smotrich e Ben-Gvir. Netanyahu invece prende tempo e chiede almeno 24 ore per riflettere. Ma sulle sue intenzioni pochi si fanno illusioni.

Lo stallo nei negoziati con Hamas sembra preludere, nonostante la contrarietà americana, a una nuova offensiva per l'occupazione di quel 25 per cento della Striscia ancora nelle mani di Hamas. Anche su questo manca un piano capace di mettere tutti d'accordo. E non solo Trump e Netanyahu, ma anche gli stessi israeliani. Mentre dal governo arrivano evidenti inviti a togliersi i guanti, il capo di Stato maggiore generale Eyal Zamir fa capire di non essere disponibile a operazioni che non tengano conto dell'incolumità degli ostaggi.

L'offensiva per la conquista delle rovine Gaza City, dove si nasconderebbero le prigioni degli israeliani e le ultime due brigate di Hamas guidate da Izzedin Al Haddad, nuovo leader della formazione, deve svilupparsi secondo Zamir come un lento assedio e costringere alla resa il nemico.

Una soluzione troppo lenta sia per la leadership politica israeliana, più propensa a spazzare via quanto resta di Hamas, sia per una Casa Bianca decisa a ottenere quanto prima la fine dei combattimenti.

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