Economia

Fisco, arriva la doccia fredda: niente taglio delle tasse

Franco rimanda al 2022 la riforma di Irpef e cuneo fiscale. Però vede rosa per il futuro: "Il Pil va bene"

Fisco, arriva la doccia fredda: niente taglio delle tasse. Ma il ministro dell'Economia scontenta pure la sinistra

Avrebbe potuto esternare icasticamente: «Bambole, non c'è un euro!», ma il personaggio del civil servant richiede un contegno che impone di esimersi dagli eccessi di schiettezza. E poi il vero problema, oltre alle risorse, è un altro: non si può disegnare una riforma del fisco quando un pezzo della tua maggioranza (il centrodestra) pensa di tagliare le tasse ai redditi medi e l'altro (la sinistra) insegue velleità pauperistiche tramite patrimoniali che redistribuiscano i redditi. Ben conscio della bagarre tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Giuseppe Conte sul reddito di cittadinanza, il ministro dell'Economia, Daniele Franco, s'è presentato alla platea del Workshop Ambrosetti di Cernobbio con il suo proverbiale sussiego e con un eloquio sobrio che ricorda da vicino quello del premier Mario Draghi. E ha reciso con poche parole le speranze di entrambi gli schieramenti. «La riforma del fisco deve disegnare un carico fiscale che sia favorevole quanto più possibile ai fattori della produzione, in particolare al lavoro. Gli interventi su Irpef e cuneo fiscale credo saranno elementi centrali», ha affermato Franco, di fatto rimandando all'anno prossimo (se tutto andrà bene) le modifiche alle aliquote delle imposte con efficacia tangibile sui portafogli dei contribuenti a partire dal 2023.

«Sarà importante - ha aggiunto - disegnare un sistema fiscale che nei limiti del possibile aiuti il Paese a crescere nel medio e lungo periodo». Insomma, tempi lunghi, quelli che l'economia definisce affidandosi a variabili, a scenari, a proiezioni e non solo alla semplice aritmetica. D'altronde, con circa 3 miliardi di euro in cassa non si potevano pretendere miracoli dalla legge di Bilancio e Franco non è un novello Harry Potter. In una riduzione di quel 38% di Irpef che grava sui redditi da 28mila a 55mila euro qualcuno continuava a sperare. Ieri è rimasto deluso. Il ministro dell'Economia già da luglio aveva depennato la possibilità di un'azione immediata: un intervento soft avrebbe, infatti, un costo di almeno 15 miliardi di euro che, al momento, non è sostenibile senza aumentare il deficit, mentre a invarianza di gettito prevedrebbe l'aumento di altre entrate.

Superato l'iniziale scoramento, non è detto che per la parte liberale della maggioranza le parole di ieri prefigurino a priori una sciagura. Franco ha bloccato anche la fuga in avanti della sinistra rappresentata a Via XX Settembre dal sottosegretario Maria Cecilia Guerra (Leu) che aveva vagheggiato un taglio aggiuntivo del cuneo fiscale a vantaggio dei redditi medio-bassi nel decreto fiscale collegato alla manovra. Dunque, quella che appare una sconfitta è un pareggio: 0-0 e tutti scontenti come prima. E anche questo Franco lo ha spiegato bene ai suoi riottosi partner. «Non ci sono bacchette magiche, non ci sono scorciatoie, uscirne richiede un buon utilizzo del Pnrr e una strategia che incida contemporaneamente su occupazione, dotazione di capitale e produttività. Sono tutti elementi che vanno visti insieme, e nei collegamenti che si percepiscono tra i ministri c'è la concordia che muove l'idea che su questi elementi bisogna agire insieme», ha detto. Ma più che una constatazione si tratta di un auspicio.

E comunque Franco ha dato anche delle buone notizie. «È in atto una ripresa intensa del Pil, il terzo trimestre sta andando bene. L'Ufficio Parlamentare di Bilancio prevede per il 2021 un +5,8%, ma non possiamo escludere che a fine anno sia superiore», ha chiosato aggiungendo che «i segnali sono incoraggianti, chiuderemo con un deficit e un debito un po' migliori di quanto indicato nel Def». Certo, poi il debito andrà ridotto anche attraverso una crescita da rendere strutturale.

Ma finché non si parla di patrimoniale e di aumento delle imposte si può far finta che tutto vada bene.

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