Fisco, lavoro e concorrenza. L'autunno caldo del governo

Le tre riforme potrebbero spaccare la maggioranza ma sono fondamentali per l'erogazione dei fondi Ue

Fisco, lavoro e concorrenza. L'autunno caldo del governo

Se la prima fase dell'esecutivo Draghi è stata caratterizzata da una sostanziale facilità di esecuzione (al netto di qualche scaramuccia leghista su lockdown e green pass e dei mal di pancia grillini su giustizia e grandi opere), l'attuazione del Pnrr e delle riforme ad esso connesse aumenterà sicuramente il tasso di conflittualità tra le forze politiche di maggioranza. Il rischio è compromettere il raggiungimento dei target previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e, dunque, l'erogazione dei 191,5 miliardi di fondi la cui prima tranche arriverà a brevissimo.

Due temi divisivi sono noti: la riforma fiscale e quella degli ammortizzatori sociali che dovrebbe portare con sé anche una revisione del reddito di cittadinanza. Il terzo argomento è meno conosciuto dal grande pubblico anche perché finora poco dibattuto pubblicamente. Si tratta della legge annuale sulla concorrenza che avrebbe dovuto vedere la luce a luglio ma la cui presentazione è stata rinviata al mese prossimo. Nella lettera inviata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, ai ministri se ne fa un ampio riferimento. Ogni anno, dal 2021 al 2024, sarà emanato un provvedimento per «aumentare» le gare degli appalti per servizi pubblici locali (a partire da rifiuti e trasporti) ed evitare «l'ingiustificata proroga delle concessioni» agli operatori storici per porti, autostrade, idroelettrico. Non è un caso che queste tematiche siano state affidate direttamente al segretariato generale di Palazzo Chigi e non direttamente ai ministeri delle Infrastrutture e della Transizione ecologica. Questi dossier saranno affrontati nella legge di quest'anno. In quelle successive si passerà alla liberalizzazione dell'energia elettrica (2022) e alle concessioni autostradali (2023). La battaglia tra liberal e conservatori sarà aspra, ma trattandosi di «riforma abilitante» i difensori dello status quo dovranno cedere.

Lo stesso discorso non vale per la legge delega sulla riforma fiscale e per il capitolo ammortizzatori sociali. Sono «riforme di accompagnamento» e hanno lo scopo di rendere più efficace l'uso dei fondi di Next Generation Eu. Sul fisco si sa già che le disponibilità per il 2022 sono ridotte (2-3 miliardi) e questo impedirà di intervenire sul taglio dell'aliquota Irpef del 38% che grava sui redditi da 28mila a 55mila euro che sono i maggiormente penalizzati dall'attuale sistema impositivo. Il centrodestra ha già fermato la patrimoniale propagandata da Pd, M5s e Leu, ma il Pnrr prevede anche un rafforzamento del contrasto all'evasione per recuperare maggiori risorse e anche in questo caso c'è da scommettere che i partiti guidati da Berlusconi e Salvini daranno battaglia. L'obiettivo, infatti, è ridurre del 15% nel 2024 rispetto al 2019 la «propensione all'evasione» di tutte le imposte (tranne accise e Imu) e portare a 2,3 milioni le dichiarazioni Iva precompilate entro giugno 2023 e aumentare del 40% le «lettere di conformità» entro il 2024, con un 30% in più di gettito. Non sono bruscolini.

Nuovi scontri sono alle viste tra politica e parti sociali in materia di riforma degli ammortizzatori. La bozza di riforma del ministro Orlando prevede comunque un aumento della contribuzione al Fondo integrazione salariale per garantire l'universalità dei sostegni. Imprese e sindacati sono contrari, ma il ministro dell'Economia, Daniele Franco, è restio ad allargare i cordoni della borsa del finanziamento statale alla misura.

Considerato che il tema si incrocia con il tagliando al reddito di cittadinanza (ieri il capogruppo al Senato di Fi, Anna Maria Bernini ne ha chiesto la «revisione totale») e con la riforma del fisco, è molto probabile che lo scontro sia destinato a salire di tono.

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