Sparatoria a Macerata

Da Forlì alle periferie delle grandi città Quando i migranti accendono la miccia sociale

Stupri e spaccio hanno innescato dure reazioni pure nella province più tranquille

Da Forlì alle periferie delle grandi città Quando i migranti accendono la miccia sociale

Ci sono le proteste, esasperate, sempre più frequenti: ma pacifiche. E ci sono, purtroppo, anche un numero crescente di atti di violenza, episodi dove l'insofferenza della provincia italiana contro una immigrazione senza controllo sfocia in incendi, aggressione verbali e fisiche, pestaggi. Dietro le manifestazioni spesso si vede la mano dell'ultradestra, che cavalca il disagio dei cittadini: come nei cortei dei mesi scorsi a Trieste e a Cagliari, dove la presenza neofascista era palpabile. Ma accade anche che cittadini di destra e di sinistra si trovino a sfilare insieme contro l'invasione dei clandestini: è successo a Spinetoli, vicino ad Ascoli, dove il sindaco del Pd è finito nella bufera per avere partecipato insieme a Casapound alla manifestazione per denunciare il business dell'immigrazione e stoppare gli arrivi. E soprattutto accade che a scendere in piazza siano cittadini senza targhe di partito né di area, specie in piccole realtà dove il governo piazza i «centri di accoglienza» senza tararne l'impatto sul territorio: come a Siculiana, provincia di Agrigento, dove centinaia di residenti hanno sfilato contro il nuovo arrivo di clandestini. «Sì all'accoglienza e all'integrazione, no al centro di prima accoglienza, Siculiana ha già dato tanto», diceva lo striscione.

A raccontare quanto la situazione sia fuori controllo, però, provvede soprattutto la quantità di episodi di intolleranza violenta, di casi in cui la esasperazione che serpeggia nella provincia italiana passa dalle parole ai fatti. Non si contano gli attentati più o meno gravi a strutture destinate a ospitare cittadini stranieri: in Sardegna in pochi mesi sono stati colpiti con la dinamite tre stabili (a Dorgali, a Monastir e a Burcei); e nel resto d'Italia ci sono poche regioni non colpite da episodi analoghi, dalle molotov contro il centro di accoglienza di San Vito di Legnago, in Veneto, a quelle contro il Cas di Forlì.

Sono imprese dietro le quali, più che l'ombra di gruppi organizzati, si intuiscono iniziative spontanee di abitanti passati, dopo l'inutilità delle proteste, a brusche forme di autodifesa. Come gli abitanti di un quartiere milanese che verranno processati per avere bruciato i giacigli di uno stabile abbandonato da tempo e divenuto ricovero di immigrati: uno sgombero «fai da te». O gli sconosciuti che a Pioltello fanno saltare in aria un bar, ingiustamente accusato di avere ospitato i festeggiamenti di un gruppo di arabi per gli attentati in Francia.

E poi, ed è il fronte più inquietante, ci sono quelli che sbarellano, danno fuori di matto, in una furia contro il «negro» dove è difficile distinguere le conseguenze dell'immigrazione da fragilità mentali preesistenti: come i due baristi milanesi, padre e figlio, che uccidono a sprangate un ragazzo di colore colpevole di avere rubato un ovetto kinder, o il gestore di un centro di accoglienza che a Gricignano, in Campania, spara a bruciapelo a un ospite gambiano. E di questi impazzimenti striscianti fanno parte a pieno titolo anche gli episodi di insulti a sangue freddo contro immigrati scelti a caso, senza un motivo specifico: come nel caso di Giulia, la quindicenne di colore che a Torino appena salita su un autobus con la cartella venne colpita con un calcio da un sessantenne: «É inutile che studi, tanto finirai sul marciapiede.

Negra di merda».

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